Call center, delocalizzazioni ‘selvagge’: denunce a tappeto dei sindacati

di Paolo Anastasio |

Nel mirino di Slc-Cgil, Fistel-Cisl e Uilcom-Uil la mancata comunicazione al ministero del Lavoro dei trasferimenti di attività all’estero e il mancato rispetto della privacy degli utenti italiani che ricevono chiamate da paesi extra Ue.

Italia


Call Center

Sindacati sul piede di guerra contro le delocalizzazioni selvagge nel settore dei call center. Slc-Cgil, Fistel-Cisl e Uilcom-Uil hanno annunciato oggi che stanno scattando denunce a tappeto alle Procure, al ministero del Lavoro al Garante Privacy e all’Antitrust nei confronti di tutte le aziende che nell’ultimo anno e mezzo hanno delocalizzato attività all’estero senza il rispetto della legge in vigore sulle delocalizzazioni.

 

Nel mirino dei sindacati la mancata applicazione dell’articolo 24 Bis del Decreto Sviluppo legge n. 83 del 2012, oggi convertito in legge, su “Misure a sostegno della tutela dei dati personali, della sicurezza nazionale, della concorrenza e dell’occupazione nell’attività svolta da call center” e segnalando, ove sussista il caso, l’erogazione degli incentivi pubblici di cui alla Legge 407/1990.

 

La legge prevede la comunicazione al ministero del Lavoro 120 giorni prima dello spostamento di attività di call center all’estero.  Nel mirino c’è anche il mancato rispetto in tema di privacy e rispetto del registro delle opposizioni da parte degli operatori che lavorano in call center all’estero.

 

Secondo i sindacati, nessun operatore che chiama da altri paesi, diversamente da quanto prescritto dalla legge, chiede all’utente italiano se accetta o meno una chiamata dall’estero. Il che crea non pochi problemi di privacy e protezione dati, visto che in diversi casi l’utente lascia i propri dati personali e gli estremi della carta di credito in mano a operatori che spesso lavorano in paesi extra Ue.   

 

Call center, in tre anni 480 milioni di euro incassati dallo Stato

Secondo i sindacati, negli ultimi tre anni, fra sgravi, cig, mobilità, mancato versamento contributi, incentivi e finanziamento della cassa integrazione, il settore dei call center ha incassato dallo Stato 480 milioni di euro, senza creare nessun nuovo posto di lavoro. Anzi, perdendone 15 mila.

 

“Denunceremo alle procure di tutta Italia le aziende che delocalizzano le attività di call center senza comunicarlo al ministero del Lavoro, come previsto dall’articolo 24 Bis del Decreto Sviluppo approvato un anno e mezzo fa ma ad oggi ampiamente disatteso da quasi tutte le aziende che gestiscono call center – ha detto Giorgio Serao della segreteria della Fistel Cisl – si tratta di aziende del settore Tlc, Energia ma anche di tanti altri settori che in questo modo alimentano il dramma di un settore che è uno dei pochi che da lavoro a donne e giovani, in particolare al Sud”.

 

“Quando ci fu il varo dell’articolo 24 Bis speravamo di frenare il fenomeno delle delocalizzazioni – ha detto Michele Azzola, segretario nazionale Slc Cgil – Quando ti chiamano dall’Albania e lasci i tuoi dati personali e gli estremi della carta di credito qualche problema c’è. Quanto previsto dal 24 Bis in materia di registro delle opposizioni è disatteso e nonostante le circolari del ministero del Lavoro e i richiami del Garante Privacy, non è cambiato nulla nell’ultimo anno e mezzo. Crediamo che in un paese normale le leggi non si interpretino ma si debbano rispettare”.

 

Dal punto di vista dei posti di lavoro, “il settore dei call center dà lavoro a quasi 80 mila persone nel nostro paese, in particolare a donne e giovani nel centro sud – dice Salvo Ugliarolo, segretario nazionale Uilcom Uil – Ma il fenomeno dell’outsourcing cresce: sono 15 mila gli operatori che fanno questo lavoro all’estero per conto di aziende basate in Italia, guadagnando un quarto dei colleghi occupati nel nostro paese. Da tempo stiamo tentando di intervenire sui cambi di appalto, ma nell’ultimo anno e mezzo è aumentato drasticamente il ricorso a esuberi, cassa in deroga e contratti di solidarietà da parte delle aziende in Italia, che poi però si affidano all’outsourcing pur fruendo dei vantaggi fiscali della legge 407/90. Basta con questa assenza di trasparenza e di privacy perpetrata da aziende il cui unico interesse è quello di combattere una guerra sui prezzi inesorabilmente tendenti al ribasso e che trovano fertile terreno nei Paesi in via di sviluppo”.

 

I numeri del settore in Italia

Nel dettaglio, secondo le sigle sindacali, nel 2013 il settore dei call center in outsourcing occupava 43 mila operatori in bound, in calo rispetto ai 45 mila del 2012, a fronte di 33.500 operatori out bound, in flessione rispetto ai 35 mila del 2012. Il 63% dei lavoratori è concentrato nelle aree del Sud, il 37% al Centro Nord. Il 62% degli operatori in bound è rappresentato da donne, l’83% con contratto part time. Gli operatori out bound hanno contratti a progetto. L’età media del settore è 30 anni.

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