Italia
Siamo tutti commissari tecnici in Italia, allora anche io dico la mia sull’Agenda Digitale.
Siamo in ritardo. Lo sappiamo, e questa è un’informazione sicuramente condivisa da tutti.
Il mio percepito mi dice che già nell’ottobre 2012, quando ci siamo spellati i polpastrelli sulla tastiera per il Decreto Sviluppo 2.0, eravamo in ritardo.
Cosa è stato fatto di “concreto” in questi ultimi 16 mesi? Forse questi ultimi 16 mesi sono serviti a mettere un po’ di ordine nella razionalizzazione del “chi fa che cosa”, in particolare per quanto riguarda la governance e le competenze.
Anche se poi il superChampion Francesco Caio, mister Agenda Digitale, non dialoga con l’Agenzia per l’Italia Digitale, che peraltro ha finalmente ottenuto il suo statuto dopo mesi e mesi di assurda attesa. Un tira e molla infinito tra MIUR, MES, e M** vari che un po’ di disordine in effetti lo ha creato…
Il premier Enrico Letta ha dato il mandato di mister Agenda Digitale a Francesco Caio, che però è sembrato un po’ un “cavallo stanco”. La relazione di Caio sullo stato delle reti abanda larga in Italia presentata pochi giorni fa a Palazzo Chigi contiene dati vecchi di 4 anni fa. Per carità, questi dati sono stati rivisti e aggiornati e scritti in inglese da due esperti d’Oltralpe, Gerard Pogorel, professore emerito dell’Università ParisTech di Parigi, e Scott Marcus, già advisor della Federal Communication Commission, il regolatore americano delle tlc.
A questo proposito sorge una domanda: ma con tutti i nostri bravi esperti italiani in materia, i nostri Politecnici, non si potevano invece ingaggiare forze nostrane legate al territorio e alla nostra bandiera?
Inoltre, considerato che l’incarico a Caio non è retribuito, non sarebbe stato forse meglio per l’Italia individuare un altro superChampion che venisse giustamente retribuito ma che in cambio si dedicasse giorno e notte al tema digitale, e non fosse contemporaneamente Amministratore Delegato di una S.p.A.?
Comunque, dei numerosi “pillar” del Decreto Sviluppo, nato dalle indicazioni di Agenda Digitale Europea e dal progetto Smart Cities, siamo riusciti a tenerne in piedi soltanto tre: Identità digitale, fatturazione elettronica e Anagrafe digitale. Il tutto in un contesto non certo favorevole ma “viziato” da iniziative non certo brillanti – mi limito a citare l’equo compenso per copia privata e la Web Tax – che hanno messo in evidenza in modo chiaro come la politica non si in grado di parlare del “Digitale” come bene comune. C’è sempre un interesse privato nascosto che genera scalpore e disperde energie costruttive.
Energie costruttive che dovrebbero invece essere canalizzate nel redigere un piano attuativo, per mettere in campo un piano strategico organico che includa il privato nel processo di digitalizzazione delle PA.
Ma analizziamo bene quest’ultima frase. Partiamo dal concetto di “piano strategico”, che dal mio punto di vista è l’equivalente di “piano industriale”. Ma al di là delle forme lessicali, è necessario definire una linea guida d’intenti, che uniformi l’approccio alla spesa pubblica e all’investimento e fissi l’interoperabilità delle varie declinazioni territoriali in un disegno unitario su scala nazionale.
Mi spiego meglio: se si decide che si deve abbandonare la spesa corrente (canoni per CDN obsolete) per dedicare quel denaro in conto capitale allo scopo di costruirsi un’infrastruttura di proprietà, questo deve essere vero a tutti i livelli (comunale, provinciale, regionale) e ovunque.
Se si decide di lavorare per costruire un “cloud” nazionale, questa decisione si declina fino al piccolo Comune con una sola biblioteca e un’anagrafe di 200 persone.
Il “piano strategico” deve contenere l’impatto in bilancio, cioè le coperture e, anche, i processi di sostenibilità (spesa corrente => conto capitale, project financing ecc).
A tutti i convegni sull’Agenda Digitale si sente dire “con la Sanità Digitale (FES) risparmi fino a 8 miliardi di euro all’anno”; e ancora: “grazie alla Mobilità Digitale risparmi fino a …” e così via.
Bene, mettiamoli in fila tutti questi risparmi potenziali. Il buon Politico deve tenere la barra dritta su questi obiettivi, creare un team interdisciplinare che costruisca il “piano strategico”. Di best practices ne abbiamo già tante.
Torniamo ora sul concetto di “piano attuativo”, che prevede la definizione di chi deve fare le cose, di come le deve fare e di quando deve farle. Quale soggetto migliore dell’AGID, visto che l’Agenzia è declinata in staff di project manager che coordinano le Regioni, giù fino ai Comuni, passando dalle Province?
Non se ne può più di progetti (bandi) nazionali (per esempio i “6000 Campanili”), che arrivano in Regione (per esempio Lombardia), che non fa nulla se non spezzettarlo sui Comuni che ne fanno richiesta. Questi Comuni, magari piccoli, indicono poi una Gara o magari fanno semplicemente una trattativa privata, arrivando a una fase esecutiva che rischia di essere lacunosa e ad una realizzazione che non parla con il vicino, figuriamoci con il resto del Mondo.
Passiamo infine all’analisi della frase “includa il privato”: c’è una grande volontà del privato di collaborare all’Agenda Digitale e, oltre a smuovere il mercato (+2% sul PIL), si tratterebbe di un volano per la creazione di nuovi servizi, sfruttando esigenze spesso “latenti” (il Wi-Fi serve agli Operatori per gestire meglio l’LTE).
Ora siamo dispersi e frammentati.
Strutturiamo un’azione digitale per portare efficienza nella PA e renderla 2.0. Si creeranno tanti servizi che riusciranno a soddisfare l’enorme domanda pubblica latente.
Per innovare e per crescere.
Letta, batti un colpo.