Italia
Ieri è corsa la notizia dei risultati dell’asta operata dall’ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers) sui nuovi domini web di primo livello, quelli per intenderci che ci fanno (o ci dovrebbero fare) distinguere il tipo di contenuti di un sito web: .com per i commerciali, .edu per i siti “educational”, . it per i domini italiani e via dicendo.
Nell’asta sono stati battuti ed aggiudicati agli interessati, ovvero ai rispettivi comuni, nuovi domini come “.paris”, “.berlin”, “.london” e “.amsterdam”. Stando alle notizie, il comune di Roma si sarebbe fatto “soffiare” il dominio “.roma” da un broker inglese che se lo sarebbe aggiudicato al modico prezzo (si fa per dire) di 147 mila euro – più altri 20 mila euro l’anno per il mantenimento.
In effetti qualcuno ricorderà l’asta record che fu battuta nel 2008 per il dominio “pizza.com”, aggiudicato per 2,6 milioni di dollari, oppure la corsa all’accaparramento dei domini che avvenne agli esordi della grande diffusione di Internet, quando digitando sulla barra del browser il nome di qualche marchio famoso, inevitabilmente si visitava la pagina di qualche azienda ben più modesta o attiva in altri campi di impresa (famoso il caso del dominio telecom.it: per molti anni è appartenuto ad una impresa di telecomunicazioni che nulla aveva a che vedere con Telecom Italia).
Ma il nome è così importante?
Qualcuno fa notare che quello conta è il “trust”, ovvero la credibilità che deriva dal “sentimento” che la gente prova nei confronti del nome stesso, ma forse il problema è un altro. Sicuramente il mercato è inflazionato da una molteplicità di domini che fanno si che quello che qualche tempo fa era una risorsa scarsa oggi non lo è più, con inevitabili e pesantissime flessioni del prezzo. Ma molto più realisticamente bisogna considerare quanto segue.
Oggi quasi nessuno si scomoderebbe a cercare l’ufficio anagrafe digitando direttamente l’indirizzo del sito di riferimento del comune stesso: molto più efficacemente passerebbe per un qualunque motore di ricerca inserendo il termine “anagrafe” seguito dal nome del comune stesso.
Lo stesso chiaramente dicasi per un museo, un qualunque bene culturale o un’automobile.
Quindi verosimilmente questa vera e propria guerra di marketing, che consiste nell’attirare visitatori sul proprio sito, non si combatte sulla barra degli indirizzi, ma sui motori di ricerca.
In effetti se siete in Germania e provate a cercare con Google la parola “Colosseum”, i primi risultati (che sono quelli che contano di più perché vale la legge di Pareto e hanno molta più probabilità di essere cliccati), fanno riferimento nell’ordine ad una tavola calda, ad un teatro e ad un cinema di Berlino: solo il quarto è una voce di wikipedia che fa riferimento al bellissimo nostro anfiteatro.
Apparire ai primi posti dei motori di ricerca non è casuale ma è frutto di tecniche note come SEO (Search Engine Optimization) e di campagne di “pay-per-click”. Le prime consistono nel progettare e ottimizzare i siti proprio perché vengano “premiati” da Google attraverso il piazzamento nei primi posti dei risultati delle ricerche. Le seconde invece consistono nell’attuare vere e proprie campagne di annunci a pagamento che consentono di apparire ai primi posti dei risultati dei motori di ricerca. I budget per tali campagne dovrebbero essere modesti visto che si accede ad un meccanismo di aste per cui ogni parola ha un valore che dipende da quanta competizione c’è sulla parola stessa e nel caso specifico la concorrenza dovrebbe essere molto modesta. Non solo: il budget viene eroso solo ogni qualvolta si verifichi un click nell’annuncio stesso.
Il vero meccanismo innovativo rispetto ai mezzi pubblicitari tradizionali è che tali campagne possono essere impostate su base geografica, sulla base degli interessi degli utenti e secondo tantissimi altri parametri per i quali si può veramente andare ad incidere su specifiche tipologie di utenti quali ad esempio i cittadini in cerca di servizi, i turisti in cerca di beni culturali e via dicendo.
In effetti nelle aziende tali meccanismi vengono sfruttati al massimo perché è dimostrato essere un enorme vantaggio competitivo apparire nella lista dei risultati dei motori di ricerca prima della concorrenza.
Ci aspetteremmo che lo stesso debba valere per i turisti in cerca di “cultural heritage” o “romantic weekend”: se Roma o Firenze apparissero prima di Parigi o Londra potremmo – noi cittadini del Bel Paese – essere tutti più contenti.
A questo punto forse, bisogna valutare effettivamente se è meglio dedicare risorse all’acquisto del nome o alla cura dei contenuti e alla promozione su Internet: forse nessuno se ne è accorto, ma i meccanismi di marketing ed il mondo stesso stanno cambiando. Quindi i romani farebbero bene ad essere lieti perchè i loro soldi in questo caso sono stati risparmiati.