Europa
Che l’Europa sia in forte ritardo sul versante delle reti a banda larga di nuova generazione – sia fisse che mobili – si è detto e scritto molto. È un dato di fatto che, mentre Usa e Asia galoppano spedite verso la fibra ottica e il 4G, in Europa si rischia un importante gap tra quello che i nuovi dispositivi permettono di fare e la capacità delle reti di supportarli.
È ormai assodato, del resto, che la competitività passa anche dalle capacità digitali e l’Europa – che in un tempo neanche troppo lontano era leader nelle nuove tecnologie – rischia di trasformarsi in spettatore passivo ai margini del villaggio globale, come sottolineato di recente anche da uno studio di The Conference Board, in cui si evidenzia che tra gli attuali leader nei settori dei servizi e delle applicazioni (Google, Facebook, eBay, Yahoo, Baidu e Tencent) nessuno ha sede in Europa e nessuno dei 10 siti più visitati al mondo è europeo.
Il Vecchio Continente rischia insomma di restare ai margini della ‘rivoluzione digitale’ e questo per una lunga serie di motivi che spaziano da un quadro di regole frammentario e inadatto ad affrontare le sfide della nuova economia a un modello di concorrenza incentrato solo sulla riduzione dei prezzi nel breve periodo, passando per la mancanza di competenze adeguate.
Un mix di fattori che hanno ‘ingessato’ non solo la crescita, ma anche gli investimenti, con gli operatori che subiscono il calo costante dei ricavi e un’incertezza regolamentare che rende impossibile panificare i necessari investimenti – stimati tra 110 e 170 miliardi di euro – per agganciare la ripresa digitale da qui al 2020.
Un circolo vizioso che va a scapito dei cittadini, delle imprese e dell’occupazione visto che, senza investimenti nelle reti di nuova generazione, ha rivelato uno studio di Boston Consulting Group, sono a rischio da oggi al 2020 oltre 5,5 milioni di posti di lavoro e fino a 750 miliardi di euro di crescita del PIL.
Che fare, dunque, per invertire questo trend e per far uscire l’Europa fuori da queste sabbie mobili che stanno trascinando giù competitività e occupazione?
Prima di tutto, come ha spiegato il Ceo di Alcatel-Lucent, Michel Combes, al Wall Street Journal, l’Europa deve porre fine “a un modello di concorrenza basato esclusivamente sulla riduzione dei prezzi nel breve periodo”. Con i ricavi degli operatori che caleranno di un altro 2% nei prossimi anni “sarà sempre più difficile prendere dei rischi o investire, mentre i servizi digitali diventano sempre più necessari per la nostra società”.
C’è inoltre bisogno, secondo Combes, di rivedere le modalità di assegnazione dello spettro, una risorsa limitata che “può e deve essere usata meglio” di quanto non avvenga oggi.
Per permettere agli operatori di differenziare le offerte e tornare a investire, “L’Europa deve fissare regole condivise ed efficienti sulla net neutrality”, ha aggiunto Combes, sottolineando quindi che “dobbiamo tornare coi piedi per terra e smettere di pensare che il settore telecom possa continuare a essere così affollato, con 120 operatori attivi, e soggetto a regole e procedure differenti da un paese all’altro”.
La differenza con gli Usa e la Cina, dove sono 3-4 gli operatori che guidano il mercato, è stridente: serve, secondo Combes, “una standardizzazione regolamentare attraverso la realizzazione di un mercato unico digitale e un consolidamento delle reti attraverso accordi di condivisione, partnership e fusioni”.
Tutto questo, spiega Combes, “riporterà, senza protezionismo o ingiustizie per i consumatori, la concorrenza in Europa e favorirà l’innovazione in un quadro in cui i consumatori potranno fare scelte chiare in termini di qualità delle connessioni, velocità e capacità – e non solo in termini di prezzo”.
Per raggiungere gli ambiziosi obiettivi della digital agenda europea, c’è bisogno di regole uguali per tutti gli attori del mercato. Solo mettendo l’innovazione in cima alla lista delle priorità, conclude Combes, “L’Europa potrà far sognare i suoi cittadini e renderli orgogliosi”.