Italia
In principio, ai primi di gennaio, erano 10 miliardi, poi sono diventati 20. Ora, il valore di Tim Brasil, secondo Marco Fossati, si aggira intorno a 30 miliardi di euro. Una cifra superiore alla capitalizzazione di Telecom Italia – che si attesta intorno a 15 miliardi – e pari a circa 16 volte l’Ebitda. Valutazioni che tra l’altro non entusiasmano gli analisti, che parlano di ‘provocazione’ e di cifre ‘irrealistiche’.
Secondo uno studio commissionato da Findim – che controlla il 5% della società telefonica – il 100% della controllata carioca varrebbe 30 miliardi e, quindi, il 67% in mano a Telecom Italia sarebbe valutato non meno di 20 miliardi, considerando i multipli a cui Telefonica ha acquistato Vivo, pari a 10 volte l’Ebitda.
Un messaggio chiaro, quello che Fossati invia al cda di Telecom Italia: questa vendita non s’ha da fare, almeno non al prezzo ipotizzato dagli analisti prima di Natale, ossia 9 miliardi di euro. L’operatore mobile, asset pregiatissimo per Telecom Italia, potrà essere ceduto solo a un valore molto superiore a quello di mercato per compensare adeguatamente l’abbandono di un mercato in crescita e l’unico in grado di garantire alla società italiana un respiro internazionale.
Se la vendita s’avesse infine da fare, la delibera dovrebbe però essere votata esclusivamente dai membri non di espressione di parti correlate e/o del socio Telco.
L’ad Marco Patuano, dal canto suo, ha ripetuto ad ogni occasione utile che Tim Brasil non è in vendita, in quanto asset strategico per la crescita. A essere in vendita sono solo le torri, per le quali Morgan Stanley starebbe già raccogliendo le offerte.
Il consiglio di giovedì, intanto, dovrà affrontare il tema della governance, con i soci italiani di Telco – Mediobanca, Intesa Sanpaolo e Generali – che sembrerebbero disposti ad apportare modifiche per includere il rafforzamento della disciplina su parti correlate, così da congelare il possibile conflitto d’interessi Telefonica. Intanto, secondo informazioni di stampa non confermate, sarebbe già stato convocato un altro consiglio il prossimo 6 febbraio, per approfondire i punti eventualmente lasciati in sospeso.
Il tutto mentre sembra essere stato ‘silenziato’ il progetto di scorporo della rete, prima avviato ma poi messo in stand by per mancanza di condizioni adeguate a far avventurare la società in un’operazione che non è stata ancora effettuata da altri player europei.
Ed è anche in questo contesto che vanno letti i ‘messaggi’ di Fossati al cda di Telecom Italia, con la CDP nel ruolo di convitato di pietra. Ricordiamo infatti che l’ente guidato da Franco Bassanini ha investito 500 milioni di euro in Metroweb, azienda anch’essa impegnata nella realizzazione di una rete in fibra ottica.
Secondo recenti stime, il valore della rete di Telecom Italia – composta da circa 102 milioni di chilometri di cavi e fili, centrali, centraline, ponti radio – potrebbe arrivare a 15 miliardi di euro: un valore equivalente a quello cui potrebbe arrivare, volendo essere molto ottimisti, la vendita di Tim Brasil. Secondo gli analisti di mercato, infatti, il prezzo giusto per la vendita sarebbe intorno a 12-13 miliardi, considerando il valore dell’asset stand alone (9-10 miliardi) ed eventuali sinergie per altri 2-3 miliardi.
Non a caso, proprio oggi il viceministro allo Sviluppo economico Antonio Catricalà, schierandosi contro la vendita di Tim Brasil e sottolineando la strategicità dell’asset, ha evidenziato la crescente preoccupazione legata al fatto che se Telecom Italia “vendesse anche Tim Brasil avrebbe ancora meno spinta a liberarsi della rete”.
“Io non voglio indebolire Telecom, anzi per noi Telecom è un’industria nazionale importante, con tanta intelligenza da salvaguardare e tante competenze da sviluppare. È un bene da tutelare, non possiamo accettare di farne una sorta di bad company”, ha spiegato Catricalà in un’intervista all’Huffington Post.
Il viceministro, già presidente dell’Antitrust, è intervenuto più volte per caldeggiare l’assoluta necessità di andare avanti con lo scorporo e di creare una società ad hoc “con una buona fetta in mano a CDP”, dicendosi convinto che Telefonica non avrebbe perso interesse nel gruppo italiano anche dopo la separazione societaria, “un’operazione che serve all’Italia, alla concorrenza e all’occupazione”.
Resta pertanto da capire quale dei due asset – la rete o Tim Brasil – l’azienda ritenga più prezioso per il suo futuro.