Italia
Il dibattito sulla Web Tax si sta allargando anche fuori dal mondo politico e, mentre sui social network si sta consumando una battaglia serrata a colpi di tweet tra favorevoli e contrari, Carlo De Benedetti del Gruppo L’Espresso decide di scendere in campo e bacchettare Matteo Renzi, spiegando perché la Web Tax ‘è giusta’.
In attesa che il Ddl Stabilità arrivi stasera alla Camera, dove è possibile che il governo ponga la questione di fiducia, si allarga il confronto sui due emendamenti a prima firma di Edoardo Fanucci e Stefania Covello, entrambi del Pd, che raccolgono i contenuti della proposta di legge del padre della Web Tax, Francesco Boccia (Pd), presidente della Commissione Bilancio di Montecitorio.
A scendere in campo a sostegno della tassa per le multinazionali di internet è stavolta Cardo De Benedetti del Gruppo L’Espresso, che ieri dalle pagine dell’Huffington Post e oggi a Mix 24 di Giovanni Minoli su Radio 24, spiega le ragioni per cui la Web Tax è “una questione di equità“.
“Io penso che Renzi sulla Web Tax sia stato mal consigliato“, ha detto De Benedetti. “Rinviare il problema – ha aggiunto De Benedetti – e dire ‘risolviamolo in Europa’ mi sembra un po’ buttare la palla in tribuna, ecco”.
De Benedetti si dice invece favorevole alla Web Tax e si lamenta del “perché Google che è un`azienda stupenda, che ha portato molto beneficio e innovazione nell’ambito della navigazione su internet e in genere della conoscenza, ma non vedo per quale ragione debba essere esentata dal pagare le imposte quando ha un’organizzazione stabile in Italia, con la quale realizza fatturati e utili imponenti. E così come le paghiamo tutti le imposte, non si capisce perché non le paghi Google, piuttosto che Facebook, piuttosto che Amazon”.
Ieri l’editore sulle pagine dell’HuffPost è partito dalla spiegazione delle pratiche di ottimizzazione fiscale alle quali ricorrono gli Over-The-Top (Google, Facebook, Apple e Amazon): “Sapete come funziona: vendono pubblicità e altri servizi in Italia, fatturano in Irlanda e Lussemburgo dove l’va è molto più lieve, poi usano triangolazioni – legali, per carità – per dirottare i ricavi negli Stati Uniti senza lasciare che pochi spiccioli nel nostro paese. Sommandone i risultati, al fisco italiano tali pratiche costano miliardi di euro l’anno”.
De Benedetti ha anche una spiegazione per tutta la mobilitazione online contro la Web Tax: “…Google e le altre multinazionali hanno armato i propri amici sulla rete, nei giornali e tra gli opinion maker. Hanno agito di fino, come si conviene, facendo credere persino a qualche grande quotidiano che una siffatta norma fermerebbe per sempre lo sviluppo dell’industria digitale nel nostro paese”.
“Niente di più falso – spiega – Si tratta semplicemente di far versare le tasse a chi opera in Italia con una stabile organizzazione e fa enormi profitti vendendo pubblicità, libri, database sul nostro mercato. Un atto di giustizia fiscale che nulla ha a che vedere con il ritardo digitale, che semmai è responsabilità della politica. O forse c’è qualcuno che pensa che, facendo pagare il dovuto a Google & C., lo Stato li farebbe fuggire altrove? Semplicemente ridicolo”.
“Mi spiace – aggiunge infine De Benedetti – che tra quanti si sono schierati dalla parte degli Over-The-Top ci sia anche Matteo Renzi, neo-segretario del Pd, convinto, come mi ha detto, “che, per come è stata costruita, quella tassa è assurda perché va contro gli accordi europei ed è facilmente impugnabile”.
“Io credo – conclude De Benedetti – che, sulla scia della scelta italiana, molti altri paesi dell’Unione Europea, a cominciare dalla Francia, prenderebbero posizioni analoghe, costringendo Bruxelles a schierarsi, finalmente. E sarebbe comunque sempre troppo tardi, dopo che la disparità di trattamento fiscale tra aziende nazionali e globali che operano sugli stessi mercati ha già distrutto – stavolta davvero! – posti di lavoro e occasioni imprenditoriali locali”.
In rete, intanto, sta montando la protesta contro la Web Tax, al punto che il M5s è arrivato a sostenere una petizione online per cancellarla, dietro la quale si allunga l’ombra di un Pd che, dopo l’elezione di Renzi, appare sempre più diviso al suo interno. Ma il dibattito non è solo un politico, sui social network si sta consumando una battaglia a colpi di tweet tra favorevoli e contrari a tassare le web company.
Anche La Repubblica ha preso una posizione forte a favore della Web Tax. In un articolo di oggi a firma di Giovanni Valentini, dal titolo ‘Perché la Web Tax non minaccia la rete‘, il giornalista scrive: “Tassati e tartassati, come purtroppo siamo, rischiamo ormai lo shock anafilattico anche solo a sentir parlare di nuove imposte o nuovi tributi. E così diventa facile scambiare lucciole per lanterne fiscali. Ma in realtà non c’è nessuna “web tax” in vista che minacci la libertà della Rete né tantomeno l’isolamento dell’Italia nel cyber-spazio”.
E a chi, come Renzi, ha finora opposto che la proposta di Boccia faccia rischiare all’Italia la procedura d’infrazione in quanto contraria ai Trattati di Roma, Valentini replica: “…Nessun Trattato europeo o accordo sul commercio internazionale può trasformare dunque l’Italia in un paradiso fiscale per i “signori del web”. La libera circolazione di merci, servizi, persone e capitali, garantita all’interno dell’Unione, non contempla e non autorizza il “contrabbando virtuale” dell’e-commerce a danno degli operatori nazionali”.