Italia
Rush finale in Commissione Bilancio della Camera per il Ddl Stabilità mentre si surriscalda il dibattito sulla Web-Tax. La vicenda ha richiamato l’attenzione di Matteo Renzi che si è schierato contro l’approvazione della norma, sulla quale il Pd risulta ormai spaccato, mentre in generale si allarga il fronte dell’opposizione.
Osservando i fatti sembra di capire che la contrapposizione alla Web Tax trovi spiegazione esclusivamente all’interno delle mere divisioni interne del Pd e in generale della polemica politica.
La domanda da porsi è allora una sola: a favore o contro le tasse per le multinazionali della rete?
Facile capire le ragioni di chi rappresenta le aziende, anche straniere, che vedrebbe colpire un sistema che ha permesso di far quattrini in modo ‘poco etico’ anche se, finora, rispettoso delle leggi che lo hanno consentito. Ma gli altri?
L’esame del Ddl è ripreso oggi, dopo la seduta notturna convocata ieri alle 23.00, e dovrebbe registrare il via libera al provvedimento per l’esame da parte dell’Aula, programmato per domani.
Intanto continua a infiammarsi il dibattitto sulla Web Tax, approvata a sorpresa venerdì sera, dopo essere stata in un primo momento accantonata.
L’Ok della Commissione Bilancio, sia all’emendamento di Edoardo Fanucci (Pd) che riprende la proposta di legge dell’on. Francesco Boccia (Pd), che a quello a prima firma di Stefania Covello, è un primo sì, ma di un certo peso, all’obbligo per le società che acquistano spazi pubblicitari sul web di servirsi di soggetti titolari di una partita Iva italiana e sulle stabili organizzazioni delle multinazionali di internet.
“Chi guadagna in Italia è giusto che paghi le tasse in Italia, con la nuova Web Tax tutte le aziende saranno finalmente uguali davanti al fisco”, ha commentato Boccia, che è anche presidente della commissione Bilancio di Montecitorio.
“Non si tratta – spiega Boccia – di una nuova imposta ma di un atto di equità e giustizia: da questo punto di vista non c’è differenza tra le multinazionali americane e le piccole imprese di Busto Arsizio o Matera. Chi non è d’accordo e sostiene il contrario spieghi il perché alle migliaia di ditte che operano in una situazione di concorrenza sleale messa in atto dai giganti internazionali che finora, per una legge sbagliata, hanno sempre pagato solo pochi spiccioli rispetto agli altissimi guadagni che riescono a fare nel nostro Paese”.
Sulla stessa linea la Covello, che ha ribadito che “la finalità principale della Web Tax non è il gettito ma l’equità e la giustizia sociale. Vogliamo colpire l’elusione fiscale internazionale che consente a grandi multinazionali di dirottare miliardi di euro in paradisi fiscali”.
Le ragioni sono chiare: dotare l’Italia di strumenti normativi per contrastare le aggressive pratiche di profit shifting che permettono, soprattutto alle grandi web company, di evitare il pagamento delle tasse, o di farlo al minimo, sfruttando una serie di artifici fiscali per dirottare tutti i profitti nei Paesi con regimi fiscali vantaggiosi.
“Si chiama capitalismo e siamo orgogliosi della struttura che siamo riusciti a creare. E’ tutto legale“, ha sempre detto il presidente di Google Eric Schmidt, rispondendo alle accuse.
Se la Web Tax diventasse legge, in Italia non sarebbe più legale. Ma il fronte dell’opposizione si allarga e dentro il Pd si registra una forte spaccatura. Il fronte contrario si appella alle dichiarazioni del neosegretario dei democratici, Matteo Renzi, senza che si capisca chiaramente se si è contrari in linea di principio a che le web company paghino le tasse in Italia o si sfrutta la vicenda per divisioni che sono solo chiaramente politiche.
Renzi dice che “la Web Tax è un tema europeo” altrimenti “diamo l’idea di un Paese che rifiuta l’innovazione“. Il Segretario aggiunge che la norma deve essere sottoposta all’attenzione dell’Ue dal momento che risulta in contrasto con i Trattati di Roma.
Trattati che, come ha giustamente fatto notare più di una volta il presidente della commissione Bilancio di Montecitorio, sono stati siglati nell’era pre-Internet.
L’ex Segretario del Pd, Guglielmo Epifani, si era, infatti, schierato con Boccia, dicendo di essere “favorevole all’iniziativa, per reperire risorse e rendere più incisiva la legge di Stabilità”.
Renzi in qualche modo sposa, quindi, la posizione di Beppe Grillo e dei deputati del M5s che l’hanno sempre definita “illegale all’interno dell’Unione europea“.
Una posizione che è comunque condivisa da altri rappresentanti del Pd che minacciano già battaglia, come la senatrice Isabella De Monte che oppone che “se passasse come principio generale (la Web Tax, ndr), i prodotti italiani dovrebbero pagare le tasse, anche nei paesi dove esportano”.
Anche i deputati del Pd Michele Anzaldi, Lorenza Bonaccorsi, Federico Gelli, Ernesto Magorno, si sono detti contrari, arrivando a dire che “la Web Tax rischia di diventare un autogol per chi fa impresa in Italia, facendoci correre rischi nel rapporto con le imprese degli altri Paesi europei”.
Secondo Filippo Taddei, responsabile economico del Pd, la Web Tax “è una norma che è probabile che non abbia efficacia, quindi anche se non la cancelliamo, la cancella l’Europa”.
“Il principio che la tassazione debba seguire la collocazione geografica dell’attività economica e che questo sia un problema che va affrontato e risolto – ha sottolineato – lo condividiamo tutti. Il punto è se questa norma è funzionale a fare questo. C’è un problema di ordine tecnico che riguarda il principio di libera circolazione dei servizi: è difficile che la norma passi quel vaglio. La politica – ha concluso Taddei – è affermare principi e trovare strumenti che siano conseguenti e applicabili, questo non sembra soddisfare entrambi i requisiti”.
Pure Marco Meloni (Pd), componente della Commissione Affari costituzionali della Camera, è contrario. La ragione? “La Web Tax isola l’Italia proprio sulla nuova frontiera dell’economia e dello sviluppo”.
Meloni arriva a dire che così facendo si vanificano “i passi in avanti di questi mesi, anche grazie al lavoro del Commissario Francesco Caio, con messaggi incoerenti sul piano internazionale”.
Come se, costringere le web company a pagare le tasse significhi essere contrari all’innovazione.
In questo senso, molto chiare le parole di Maurizio Gasparri, senatore di Forza Italia, “Plaudo alla Web Tax – ha commentato – perché gli over-the-top rubano contenuti e identità impuniti. Usano paradisi fiscali, ignorano qualsiasi regola su privacy e quant’altro. Paghino, e caro. La Web Tax deve essere un punto di partenza, non di arrivo. Devono sborsare molto, molto di più”.
Ovviamente contraria alla Web Tax la Confindustria americana. Per Simone Crolla, Consigliere Delegato dell’American Chamber of Commerce in Italy,“La Web Tax è il tentativo di assoggettare le aziende digitali estere alle normative fiscali italiane, provocando un danno sia ai produttori che ai consumatori”.
Vicina alle posizioni dell’AmCham anche Confindustria Digitale, che ha tra i suoi soci anche Google. Il suo presidente, Stefano Parisi, si è appellato al “Commissario straordinario per l’Agenda digitale, Francesco Caio” e ritiene che si dovrebbe “fare esattamente il contrario di quanto prevede la Web Tax, si doveva favorire sul piano fiscale le piattaforme europee, non penalizzare quelle Usa”.
Favorevole invece alla Web Tax, la Siae (Società italiana degli Autori ed Editori) e anche l’Anica (Associazione delle industrie audiovisive e multimediali) che ha ricordato: “Le imprese italiane dell’audiovisivo hanno un’incidenza fiscale finale di oltre il 60%, il che rende loro difficilissimo competere con i partner europei. Addirittura impossibile è confrontarsi con i giganti extraeuropei, ove questi operino in regimi fiscali di favore“.
Per questo l’Anica apprezza il senso del recente provvedimento e il presidente Riccardo Tozzi auspica che “non resti limitato all’Italia e che il Governo italiano, nel suo semestre di presidenza, si faccia promotore della sua adozione a livello europeo”.
In tutto questo il peso degli Stati Uniti si sente, eccome. E si allunga l’ombra sull’esito delle trattative internazionali sui trattati di libero scambio. Ma questo può farci dubitare sull’opportunità o meno che le aziende del web debbano pagare le tasse in Italia?
Boccia ritiene che “Affermare che la cosiddetta Web Tax disincentiva gli investimenti è un colossale errore. L’unica cosa certa è che le aziende operano dove capiscono che possono raggiungere i profitti più alti e d’ora in poi dovranno destinare una parte dei loro guadagni al fisco del Paese che le rende sempre più ricche. Esattamente come tutti gli altri operatori italiani. Questi sono fatti. Il resto sono chiacchiere a gettone, nel vero senso della parola”.