Unione Europea
C’è un tesoretto quantificato in 12 miliardi di euro nascosto nello spettro radio europeo, che il Vecchio Continente potrebbe risparmiare con la liberalizzazione e la condivisione volontaria dello spettro radio a 2.3 Ghz con i soggetti che ne fossero interessati. E’ quanto sostiene uno studio realizzato Plum Consulting, su commissione di Ericsson, Nsn e Qualcomm, fra i maggiori provider globali di apparecchiature di rete, che si propongono agli Stati europei e agli enti regolatori come “broker” e “arbitri” dello sharing di questa porzione di spettro, generalmente sotto utilizzata e non armonizzata nell’UE.
Secondo lo studio, le frequenze a 2.3 Ghz sono usate attualmente in una miriade di maniere diverse in Europa, con utilizzi che spaziano dai servizi radioamatoriali, a servizi governativi di sicurezza – in particolare telecamere di sicurezza pubblica, come avviene in Germania – fino alla gestione di eventi particolari, come le comunicazioni di emergenza in coaso di disastri naturali. Le autorità stanno lavorando per armonizzare l’utilizzo della banda a 2.3 Ghz, in particolare per la banda larga mobile. Sono allo studio anche procedure standard e nuove regole, che consentano da un lato l’armonizzazione e dall’altro la condivisione volontaria della banda (Licensed Shared Access). Ma la situazione è ben lungi dall’essere chiara dal punto di vista regolamentare.
Anche in Italia la banda a 2.3 Ghz è usata per diversi scopi, dall’uso radioamatoriale a quello dei servizi di emergenza e soprattutto dalla Difesa, in ambito militare per le comunicazioni dell’Aeronautica. Questa banda nel nostro paese, come altrove in Europa, è sottoutilizzata, e secondo quanto si apprende, la sua valorizzazione sarebbe già sotto la lente dell’Agcom, per un suo utilizzo più razionale in ottica di comunicazioni mobili. Sarà interessante nel prossimo futuro verificare in che modo si muoveranno l’Itu e l’UE per regolare questa porzione di spettro.
A livello internazionale, in Cina la banda a 2.3 Ghz è già utilizzata per la banda larga mobile e i produttori cinesi, fra cui Huawei, spingono perché anche l’Europa apra questa porzione di spettro all’Lte.
Il ricorso o meno a nuove aste, per l’assegnazione di licenze per la telefonia mobile delle frequenze a 2.3 Ghz, resta però una questione ancora aperta. Per esempio, in Svezia non è esclusa un’asta competitiva per queste frequenze nel prossimo futuro. Lo strumento dell’Lsa (Licensed Shared Access) in futuro potrebbe diventare un’alternativa valida per l’accesso a nuove frequenze.
Insomma, il dibattito sulla razionalizzazione e destinazione d’uso della banda a 2.3 Ghz è aperto a livello globale, resta da capire come le autorità regolamentari decideranno di allocare le risorse frequenziali. Di certo, gli operatori mobili, che hanno speso miliardi per l’acquisto di licenze mobili nel corso degli anni, non resteranno con le mani in mano in caso di allocazione senza asta competitiva della banda a 2.3 Ghz. Basti ricordare i circa 4 miliardi di euro spesi dagli operatori Tim, Vodafone, Wind e 3 Italia per l’ultima asta Lte.
“Porzioni aggiuntive di spettro radio saranno necessarie in futuro per rispondere alla crescente domanda della banda larga mobile in Europa – si legge in una nota di Plum Consulting – secondo le stime diffuse nella industry, la domanda crescerà in maniera esponenziale di qui al 2030 e pensare di fare affidamento soltanto sulla banda assegnata al mobile potrebbe non bastare ad evitare lo spectrum crunch”.
L’accesso condiviso alle nuove frequenze potrebbe fugare questo rischio, sostiene il report.
“Usare la banda a 2.3 Ghz in maniera condivisa ridurrebbe i costi di realizzazione delle reti per gli operatori, permetterebbe di rispondere in maniera adeguata alla crescente domanda di banda larga mobile, semplificando così il lancio di nuovi prodotti e di nuovi piani tariffari per gli operatori”, ha detto il Ceo di Plum Consulting Tony Lavender, aggiungendo che “i vantaggi economici derivanti dalla disponibilità delle frequenze a 2.3 Ghz tramite co-sharing della banda potrebbe superare i 12 miliardi di euro”.
La banda a 2.3 Ghz è già stata standardizzata dalla 3GPP (Third Generation Partnership Project) per la tecnologia Td-Lte ed è particolarmente utilizzata nell’area geografica dell’Asia Pacifica, dove è stata assegnata a servizi di banda larga mobile in Australia, Cina, Hong Kong, India, Malesia, Nuova Zelanda e Singapore. Secondo la Gsa (Global mobile suppliers association) esistono otto reti commerciali che usano spettro a 2.3 Ghz, a fronte di 147 device compatibili.