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#Unbundling: Agcom in un vicolo cieco, tra incudine e martello

Italia


Questa mattina la Commissione europea ha emanato la Raccomandazione destinata all’AgCom per la nota vicenda della delibera sull’unbundling dello scorso 11 luglio.

Il documento, già inviato all’Agcom, sarà pubblicato tra qualche giorno sul sito della Ue, ma si possono già trarre gli elementi più importanti.

Tutto come previsto?

Non proprio.

La Raccomandazione sembra più pesante di quanto non ci si aspettasse.

La Commissione europea ribadisce la propria posizione in modo fermo, segnalando senza equivoci che il Berec (l’organismo che raccoglie i regolatori nazionali europei), più volte richiamato da Agcom a sostegno delle proprie scelte, “…non ha aggiunto nulla di nuovo a quanto aveva già esposto Agcom…”, e rinnova quindi per intero i rilievi già espressi nella cosiddetta Fase 2.

Nella valutazione conclusiva la Commissione europea si concentra sulla violazione da parte di Agcom dell’art. 8 della Direttiva Quadro del 2002 ed indica che i valori notificati di accesso sui mercati 4 e 5 non si fondano su dati aggiornati.

In particolare risultano poi inidonei i parametri adottati per definire il modello di costo, il cosiddetto WACC (Weighted Average Cost of Capital).

La Commissione sottolinea che l’approccio sostenuto sul Wacc conferma che le scelte metodologiche di definizione dei criteri di orientamento al costo non sono coerenti e non raggiungono quegli obiettivi di stabilità del pricing fissati dalla Raccomandazione.

La Commissione considera i valori di Wacc in Spagna, Portogallo e Irlanda, e conferma che Agcom dovrebbe applicare il valore di Wacc considerato nel contesto della nuova analisi di mercato.

Quindi Wacc a 10,40 che porta ad un valore di unbundling di 9,16 (come si ricorderà la deliberà dell’11 luglio approvò l’abbassamento dell’unbundling da 9,28 a 8,68, con un decremento del 6,47%).

Ancor più pesante la valutazione della Commissione sulle scelte di Agcom che scoraggiano gli investimenti in Italia e non sono coerenti con il quadro e la ragionevolezza dei ritorni, oltre a non fornire il corretto segnale del “make or buy” (le infrastrutture) agli operatori alternativi.

Detto in soldoni un quadro siffatto demotiva gli investitori italiani e stranieri che volessero investire in Italia su nuove reti, perché sarebbero in evidente svantaggio rispetto agli operatori di altri mercati nazionali dove ragionevoli ritorni sono invece riconosciuti da scelte che hanno tenuto in debito conto i parametri cui la Commissione fa riferimento.

Cosa accadrà ora?

Agcom avrebbe a suo favore due soluzioni sulle tre disponibili: può ritirare o modificare la delibera dell’11 luglio, rispondendo positivamente alle richieste della Commissione europea.

Eppure corre voce che il prossimo 19 dicembre Agcom sia orientata a confermare il braccio di ferro con la UE.

Non sarebbe una soluzione saggia.

Andrebbe incontro alle opposizioni certe di chiunque si rivolgesse in Italia a un tribunale amministrativo (con certezza di vittoria e con danno alle tasche dei cittadini) e ad una pressoché certa procedura di infrazione che la Commissione europea comminerebbe al nostro Paese a seguito dell’atteggiamento rigido di Agcom (con altrettanto danno per le tasche dei cittadini).

Vedremo.

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