Mondo
Il deep web, o deepnet, o rete invisibile sembra essere diventato l’argomento del giorno. E se la questione di ciò che esiste in Rete ma non viene scandagliato mediante l’utilizzo di motori di ricerca non è nuova all’interno del dibattito accademico, con contributi rilevanti sin dall’inizio degli anni 2000, in particolare in materia di gestione dei dati (P. Ipeirotis, L. Gravano, 2001) e di capacità di scoprire delle risorse che i motori di ricerca non vedono (G. Price, C. Sherman, 2001), una nuova attenzione dei mass media, legata anche ai pericoli di questo universo, sembra aver portato il tema alla ribalta delle cronache. Un articolo di The Japan Times mette in evidenza come il Deep Web sia, con una metafora ormai abusata, la parte sommersa del mare della rete e che gli algoritmi per dragare le informazioni utilizzati dai motori di ricerca arrivino a coprire solo il 4% del web (surface web). Andando per esclusione, quindi, il 96% dove non arrivano le ricerche di Yahoo, Google, Bing è deep web. In realtà, il paragone che meglio rende la dimensione di quanto giace sotto alla Rete, misurato in terabyte di grandezza, è stata proposta da Bert Olivier in una sua recente riflessione: con 19 terabyte di web conosciuto apertamente e 7500 terabyte di dark web, quanto sappiamo della Rete è davvero solo la punta di un iceberg ingente.
Chi scrive queste righe, la scorsa settimana, ha avuto l’idea di verificare che cosa si muove al di sotto del mare della Rete e ha provato a navigare nel deep web. E’ opportuno premettere che la sottoscritta non è un nativa digitale e ricorda in modo definito esperienze come fare una chiamata mediante un telefono a gettone; inoltre, il primo schermo a cui si è trovata di fronte è stato il tubo catodico e non il monitor di un pc. Ciò detto, ma sulla scorta di una concezione esperienziale che la ricerca sociale ha insita in sé, ritengo fermamente che sia opportuno verificare, se e ove possibile in prima persona, ogni tipo di innovazione tecnologica.
Ed ecco aprirsi l’universo del deep web, subito dopo aver aperto TOR, The Onion Routing il browser di navigazione specifico per la rete profonda. Il deep web per la multiformità delle attività e per la natura stessa delle proposte presenti, ha un chiaro problema legato al carattere stesso dell’idea di ricerca: non è dotato di strumenti specifici, come i motori di ricerca, ma dispone di quella che si potrebbe definire una categorizzazione dell’offerta piuttosto limitata. E le macro-categorie che si aprono davanti a noi sono facilmente inquadrabili in poche aree: sesso, attività tipicamente legate alla criminalità organizzata, area hacker, offerta illegale di servizi quali cittadinanza, documenti falsi, visti, valute.
Il bitcoin sembra essere la moneta di scambio del deep web, con buona pace delle banche centrali e degli istituti bancari tradizionali che non sapranno mai quanta ricchezza si muove in questo universo, dietro a transazioni economiche non sempre legali.
Appurato il mio disinteresse a procurarmi sul web servizi della prima e della quarta tipologia – non mi servono né sesso, né droga né un killer, anche se in ogni caso ho l’impressione che i prezzi sul deep web siano ritoccati verso l’alto per tali settori merceologici – concentro la mia attenzione sull’area hacker e sulla compravendita illegale di beni e servizi legali.
L’offerta di servizi di hacker è ricca ed articolata, ma, se non siete nativi digitali come non lo sono io, si tratta davvero di una interazione con specie aliene. L’esperienza mi riporta alla memoria quando, nella prima metà degli anni ’90, acquistavo credito telefonico internazionale mediante i floppy disk venduti in edicola per collegarmi in chat con i suprematisti bianchi americani, oggetto della mia tesi di laurea. Le dichiarazioni degli auto-proclamati hacker in affitto che ti offrono di entrare nel sistema del dispositivo mobile del tuo acerrimo nemico imprenditoriale, mi lasciano la stessa sensazione addosso: e non so se essere divertita o preoccupata dal fatto che evidentemente c’è un mercato specifico, ricco e differenziato per questa tipologia di servizi, che passa sopra alle teste degli utenti della rete.
Ma alla fine, nelle conversazioni tra pirati informatici che dichiarano di aver fatto un attacco DDoS al tale sito istituzionale di rilevanza globale e di aver collaborato con Assange per Wikileaks, la sensazione è quella di trovarsi nella familiarità di una vera comunità, che fa della ricerca di nuove forme e strumenti di intervento sul web di superficie uno dei suoi scopi di azione. Peccato solo che questo gruppo che si ritrova nel dark web sia quanto mai oggetto di analisi di FBI e altri operatori di intelligence, forse ancora più presenti e attenti al deep web degli hacker stessi.
Ma sono le altre tipologie di proposte di documenti ad attirare la mia attenzione. Se nel caso della promozione di killer spietati e pronti a non lasciare traccia è evidente che si entra nel mondo della criminalità organizzata, nell’offerta di documenti e valute la percezione della illegalità appare meno evidente per l’utente, inserito in una sorta di e-commerce del falso documentale. Dall’acquisto della cittadinanza statunitense, alla compravendita di un visto falso per l’ingresso nella UE, in questo caso il deep web mostra il proprio volto di occasione apparentemente brillante e a buon mercato in offerta per disperati veri alla ricerca di una possibilità. Tutto questo ci riporta alla spietatezza del contesto economico e culturale globale dove anche le opportunità di accedere ad una vita diversa hanno un prezzo (in bitcoin), un canale di vendita (il deep web) e una finalità condivisa (stare a galla mediante le scorciatoie della rete).
Incerta se sia indice di maggiore difficoltà cercare di comprare o proporre in vendita una patente di guida americana in rete chiudo TOR e abbandono, probabilmente per lungo tempo, il deep web, con una sensazione agra, come quando si riemerge all’aria dopo una lunga immersione e si scopre di aver trattenuto sulle pinne delle alghe portate su dalle profondità del mare. O forse è solo un virus, chissà.