#ddaonline, Simona Lavagnini (LGV): ‘Blocco degli IP sempre più diffuso’

di di Simona Lavagnini (Partner LGV Avvocati) |

‘Le conclusioni dell’avvocato generale della Corte di Giustizia Ue nel caso UPC/Constantin destinate a produrre effetti anche sull’ordinamento italiano’.

Unione Europea


Simona Lavagnini

Secondo le conclusioni dell’avvocato generale presso la Corte di Giustizia UE nel caso C-314/12, recentemente pubblicate, gli access provider possono essere destinatari di misure inibitorie (caso UPC Telekabel Wien GmbH contro Constantin Film verlaih GmbH e Wega Filmproduktionsgesellschaft GmbH). Tuttavia, gli access provider non possono essere destinatari di un divieto generale e privo di prescrizione di misure concrete, perché un tale divieto non sarebbe compatibile con il necessario bilanciamento dei diritti fondamentali degli interessati. Al contrario, non appare in linea di principio sproporzionata una concreta misura di blocco relativa a uno specifico sito internet (che nel caso considerato si era espressa nelle forme del blocco DNS del dominio e del blocco degli indirizzi IP attuali e futuri del sito kino.to, attraverso il quale erano stati messi a disposizione film in violazione dei diritti d’autore), anche se l’esecuzione di tale misura comporta l’impiego di mezzi non trascurabile e possa essere facilmente aggirata senza particolari conoscenze tecniche.

Spetta tuttavia ai giudici nazionali compiere nel caso di specie un bilanciamento dei diritti fondamentali delle parti coinvolte, tenendo conto di tutti gli elementi rilevanti.

 

Questa breve descrizione delle conclusioni dell’avvocato generale ne rende evidente l’importanza e la novità. Esse risolvono infatti in modo argomentato e bilanciato alcuni dei temi più complicati e dibattuti ai nostri giorni, relativamente alla protezione dei diritti di proprietà intellettuale in Internet, nonché alla tutela delle libertà di espressione ed informazione, nello stesso mezzo.

 

Il primo tema fondamentale affrontato dalle conclusioni consiste nel riconoscimento della ammissibilità dell’emissione di provvedimenti inibitori nei confronti di un fornitore di servizi di accesso ad Internet, anche nel caso in cui quest’ultimo fornisca l’accesso non al soggetto che immette il contenuto illecito in Internet, ma agli utenti della rete che accedono all’offerta abusiva. Questa opinione è importante e nuova a livello comunitario, e credo produrrà effetti sia sulla decisione finale della Corte di Giustizia, sia sulle varie giurisprudenze nazionali, anche in considerazione del fatto che l’avvocato generale ha molto ben argomentato le proprie conclusioni sulla base delle norme e della giurisprudenza comunitaria. Peraltro, non si tratterebbe di una novità assoluta per quanto concerne l’orientamento già adottato dalle nostre corti penali nazionali, che già da tempo hanno preso ad emettere misure inibitorie nei confronti dei fornitori di accesso, quando tramite tale accesso gli utenti che si trovano sul territorio italiano possano accedere a contenuti in violazione della proprietà intellettuale posti all’estero.

 

Il caso Pirate Bay

In questo senso si può ricordare il primo leading case, ossia il notissimo caso Pirate Bay, deciso con la sentenza 49437/2009 della Corte di Cassazione, la quale ha ritenuto che fosse legittimo l’ordine emesso dall’autorità giudiziaria configurato nella forma di inibizione ai fornitori di servizi internet, e segnatamente ai provider operanti sul territorio dello Stato italiano, affinchè questi impedissero ai rispettivi utenti l’accesso all’indirizzo del sito web, ai relativi alias e nomi di dominio rinvianti al sito medesimo. Secondo la Suprema Corte un tale speciale potere inibitorio è assegnato all’autorità giudiziaria dal D.Lgs. 9 aprile 2003, n. 70, artt. 14 e 16, di attuazione della direttiva 2000/31/CE relativa ai servizi della società dell’informazione. Le conclusioni dell’avvocato generale nel caso C-314/12 – se dovessero essere condivise e supportate dalla Corte di Giustizia – potranno tuttavia avere l’importantissimo effetto di modificare la giurisprudenza attuale in sede civile, che ad oggi non appare essere favorevole all’emissione di ordini di inibitoria nei confronti degli access provider.

 

Il caso Fapav c. Telecom

A questo proposito va richiamato l’orientamento espresso dal Tribunale di Roma con l’ordinanza del 15 aprile 2010, nel noto caso Fapav c. Telecom. In tale ordinanza la Corte romana ha ritenuto che: “Occorre in particolare escludere, a confutazione di quanto dedotto da Fapav nelle note autorizzate, che Telecom abbia l’obbligo di sospendere il servizio di accesso ai siti in questione ex art. 16 comma 1 per essere stata portata a conoscenza di fatti o circostanze che rendevano manifesta l’illiceità dell’attività dell’informazione. Tale disposizione è infatti applicabile solamente al prestatore di servizi di hosting, ossia di memorizzazione permanente di informazioni, consistente nella messa a disposizione di una parte delle risorse di spazio di memoria digitale contenute all’interno di un server al fine di rendere visibile su Internet materiale informativo del destinatario del servizio, mentre Telecom fornisce solamente il servizio di connessione, come è pacifico“. Alla luce delle conclusioni dell’avvocato generale si potrebbe oggi ragionevolmente sostenere che anche i fornitori di accesso ad Internet possono essere destinatari di una misura inibitoria che blocchi l’accesso ai siti abusivi.

 

Di uguale importanza rispetto all’opinione sopra riportata dell’avvocato generale è quella parte delle conclusioni che concerne il contenuto dell’inibitoria emettibile nei confronti del fornitore di accesso ad Internet. Secondo l’avvocato generale, seppur tale misura è concepibile, essa deve essere bilanciata con gli altri interessi in campo. Secondo la normativa e la giurisprudenza comunitaria, le misure necessarie ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale devono essere leali, eque, proporzionate, dissuasive, non inutilmente complesse o costose, non devono comportare termini irragionevoli né ritardi ingiustificati e devono essere tali da evitare la creazione di ostacoli al commercio legittimi e da prevedere salvaguardie contro gli abusi.

 

D’altra parte, esse debbono realizzare un giusto equilibrio fra i diritti in gioco (ed in particolare quindi fra i diritti di proprietà intellettuale da una parte e la libertà di espressione e di informazione degli utenti, nonché la libertà di impresa del provider dall’altra parte). Inoltre, non va dimenticato che l’ordinamento comunitario vieta di imporre ai prestatori un obbligo generale di sorveglianza sulla rete, o di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite. Da quanto sopra deriva, secondo l’avvocato generale, che non si realizza un giusto bilanciamento qualora si disponga nei confronti del provider un obbligo generale di impedire ai propri clienti l’accesso a un determinato sito internet in violazione dei diritti d’autore, anche ove il provider possa evitare le sanzioni derivanti da tale divieto dimostrando di aver adottato tutte le misure ragionevoli per l’attuazione del divieto, dal momento che il bilanciamento deve essere operato ex ante, e deve evitare che il provider si trovi nella irragionevole situazione in cui esso sia contemporaneamente esposto – a seconda dei casi – alle contestazioni dei titolari dei diritti ove attui la misura in modo meno incisivo, e alle contestazioni dei propri utenti ove invece la attui in modo più severo.

 

Ordini di blocco IP e DNS

Infine, le conclusioni dell’avvocato generale sono particolarmente importanti ai fini dell’individuazione della possibile adeguatezza, come misure inibitorie, degli ordini di blocco IP e DNS. Queste misure sono state in alcuni casi criticate poiché da una parte richiedono l’impiego di mezzi di una certa rilevanza; e dall’altra parte potrebbero in effetti essere aggirate dagli utenti. L’avvocato generale ha sgombrato il campo dalle critiche concernenti quest’ultimo aspetto, ritenendo che anche una misura aggirabile possa essere idonea, poiché non tutti gli utenti – pur potendo farlo – in concreto la aggireranno, con la conseguenza che non si può escludere che l’applicazione della misura raggiunga il suo scopo. 

Per quanto concerne il fatto che la misura possa essere complessa e costosa, l’avvocato generale ha rinviato a una valutazione caso per caso che deve essere effettuata dal giudice nazionale; peraltro chiarendo come anche l’imposizione di misure di una certa onerosità possa in concreto essere accettabile, se necessaria al fine di garantire ai titolari dei diritti di proprietà intellettuale una protezione adeguata ed efficace. Anche questa opinione dell’avvocato generale non mancherà di esplicare i suoi effetti nell’ordinamento comunitario e – segnatamente – anche in quello nazionale ove, a tacer d’altro, è in discussione la bozza di regolamento Agcom in materia di blocco di siti contenenti materiale in violazione dei diritti d’autore. In tale sede si è anche molto discusso dell’opportunità e dell’adottabilità di misure come il blocco IP e DNS. Oggi le conclusioni dell’avvocato generale nel caso UPC/Constantin forniscono un ulteriore argomento a sostegno della possibilità di disporre misure di questo tipo.

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