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Tutti i ritardi dell’LTE. Il 4G in Italia è ancora bloccato

Italia


Sono tanti i problemi che hanno contribuito al ritardo nella realizzazione delle infrastrutture di rete di nuova generazione. Sono trascorsi 24 mesi da quando in Italia si parla di LTE, ma soltanto in pochi hanno le idee chiare su cosa bisogna fare, pur consapevoli che bisognerà collaborare per riuscire a superare gli ostacoli che impediscono il raggiungimento degli obiettivi che ogni operatore si è imposto.

 

In questo periodo, soltanto Tim e Vodafone si sono mossi con offerte commerciali e con il reale impegno alla realizzazione di nuovi impianti che ottimizzino la rete 3G e incrementino la rete 4G. ma bisogna analizzare il fatto che si è in ritardo a causa anche di alcuni fattori quali, ad esempio, che i limiti di esposizione ai campi elettromagnetici in Italia è pari a 6 v/m (volt/metro); una soglia troppo inferiore a quelle accettate in molti altri paesi europei, dove il limite è compreso tra i 20 e i 60 v/m.

 

Questo forte vincolo ha rallentato notevolmente il numero delle installazioni di nuove stazioni radio “BTS”, che erano già quasi sature, con la conseguenza di non potere espandere il proprio campo elettromagnetico. Tutto ciò ha fatto sì che in alcune aree, che risultavano già densamente popolate da impianti, non si sia riusciti ad attivarne di nuovi, limitando così l’espansione delle coperture 3G e bloccando la crescita di quelle 4G. Avendo già saturato i V/m disponibili per singolo operatore su quelle aree strategiche che dovevano consentire non tanto l’aumento di copertura ma il miglioramento della velocità della rete 3G, oggi è pertanto arduo puntare sulla reale crescita del 4G in aree complesse. Aree dove l’aver condiviso gli impianti tra operatori ha portato a scelte difficili su come ridimensionare le coperture, senza per questo penalizzare gli utenti.

 

Un altro problema è scaturito a causa dei  permessi per potere realizzare gli interventi in determinate aree, come quelle  protette da vincoli in ambito extra urbano e urbano, ad esempio quello paesaggistico o quello della sovrintendenza: basti pensare ai parchi o a quegli edifici storici o alle chiese, dove bisogna attendere oltre 90 giorni per  avere risposte dai varie enti. Altre difficoltà si sono riscontrate in determinati Comuni che, indipendentemente dalla colore politico dell’amministrazione, hanno fatto ostruzionismo. Fortunatamente le normative finiscono per dare ragione agli operatori, che così riescono a installare le antenne nonostante i comitati cittadini cerchino  di bloccare i cantieri. Gli assessori e i sindaci chiaramente inseguono i propri interessi perché  la collocazione di impiant  in  aree di proprietà comunali produce un guadagno per le loro casse e quindi se nessuno si lamenta e “tutto è  lecito”, altrimenti si innescano inutili meccanismi di controversie che non portano a nulla, visto che l’impianto dovrà comunque essere realizzato perché la rete “deve crescere”.

 

Un’altra problematica è stata la scelta del vendor al quale affidare la sfida dello sviluppo delle reti in Italia.

 

Altro  problema  che si è dovuto affrontare in questi mesi è il dimensionamento degli apparati, cioè il numero di Rack, di RRu, di DUGs e di configurazioni da attivare con la nuova tecnologia, per permettere di avere, là dove già presente la copertura UMTS, una maggiore capacità e di conseguenza una migliore qualità del servizio. Quanto detto ha portato ad un rallentamento della crescita del 4G.

Anche se i principali operatori telefonici si sono suddivisi il mercato della telefonia mobile, i vendor pur essendo diretti competitor, si sono “divisi l’Italia”.  La sfida maggiore è stata Ericsson vs Huawei, che si sono spartiti il mercato equamente, buttando fuori realtà come Nec e Alcatel, per quanto riguarda il trasporto della rete su ponti radio.

È  andata ancora peggio ai vendor che producono l’intera tecnologia 3G/4G, che si sono trovati in forte competizione tra loro.  Ericsson e Nokia e da qualche anno Huawei, (partner tecnologico di cui molti stati al mondo si fidano), hanno  messo in crisi altri competitor e tutto questo caos tecnologico ha portato un rallentamento della crescita del 4G in Italia, a causa della difficile convivenza delle diverse tecnologie.

 

Un altro elemento che ha penalizzato la crescita del 4G è stato sottovalutare la gestione delle fasi di questo progetto, che tecnologicamente ad oggi non ha eguali nel panorama industriale italiano.  Mi riferisco ad una particolare fase del progetto, quella degli  “Swap” e dei “Rollout“,  che hanno raggiunto numeri che non si erano mai visti in questi anni perché, mentre le reti 2G (gsm900 – dcs1800) e quelle 3G (umts2100 – umts900) sono cresciute nel tempo, le reti 4G (lte800 – lte1800 -lte2600 ) crescono velocemente e le installazioni, una volta messe in esercizio, quando sarà terminata la fase di crescita e sviluppo del 4G, si rischia che la stessa tecnologia sia già vecchia visto che si parla già di 5G.

 

Si stanno investendo molte risorse economiche sui Rollout e sugli Swap degli apparati vecchi, che di vecchio hanno poco, se consideriamo che per il 3G in certe aree geografiche va bene quello già presente in campo. Altro fattore negativo è stata la scelta delle antenne (Powerwave, RFS, Commscope, Katherin, ecc.) da parte degli operatori. Si è vista da una parte l’uscita di scena di importanti aziende produttrici e dall’altra l’entrata di nuove società, che fino a pochi anni prima non erano neanche presenti nel mercato italiano. Alla fine, per permettere  installazioni di antenne anche dove non necessario, con costi che hanno inciso fortemente sul numero di impianti realizzati ad oggi, il cambio di tecnologia verso apparati e sistemi nuovi ha causato molto spesso un rallentamento dovuto alla mancanza di forniture e di conseguenza il mancato rispetto dei tempi di consegna e di collaudo degli impianti. Tutto ciò non per volere degli operatori ma dei fornitori, con il conseguente rallentamento dell’accesso alla rete 4G da parte degli utenti.

 

Certamente il 4G è migliore degli standard precedenti, ma la domanda è  “a cosa serve tutta questa velocità?”. Rende la vita difficile a chi è abituato al mondo meno caro del 3G, che però non è ancora in grado di dare le velocità ” dichiarate” in  aree urbane e tanto meno non sarà mai in grado di farlo in aree extra urbane, per esempio nei piccoli paesini sotto i 20.000 abitanti dove sarà sempre un calvario per il semplice motivo che la rete non è dimensionata per le reali necessità (costa troppo dimensionarla bene nelle città e non si riesce nei paesini,  perché costa tanto il trasporto dati che avviene in varie tecnologie trasmissive: trasmissione via radio, fibra ottica, cavo in rame).

 

Si cerca di puntare al trasporto dati convergendo verso il full-IP su fibra ottica o su ponte radio, cercando di ottimizzare i costi e valutando bene se muoversi verso una direzione piuttosto che l’altra; questo nelle città che hanno un bacino di utenza superiore ai 30.000 abitanti, ma le realtà inferiori rischiano di essere escluse.

 

Tutto questo  ha fatto sì che  in appena due anni si venisse a creare una parità tecnologica tra i due colossi Tim e Vodafone, mentre H3G è rimasta indietro tranne che nelle principali città come Milano e Roma dove ha puntato sull’LTE 2600 MHz. Per quanto  concerne  Wind, l’operatore  non è ancora approdato alla sfida 4G pur avendo acquisito le frequenze partecipando all’asta e comunque non sembra essere in grado di ottimizzare la sua rete 3G per soddisfare l’incrementato dei clienti.

In generale, sarebbe meglio ottimizzare le attuali reti 3G bilanciandole nelle aree poco coperte e rendendo migliore la capacità di download e upload dei dati, per permettere agli utenti di navigare realmente a discrete velocità che consentano la fruizione dei servizi maggiormente richiesti, in special modo sui social network.

 

Allora chi  vuole realmente questo LTE? Tutti, nella forma, e nessuno nella sostanza. Viste le offerte economiche e la copertura attuale si individuano aree  non servite  e si pensa al 4G. le varie telco sono incerte  persino sul tipo di frequenze da utilizzare: se LTE1800 o LTE800 (costato caro in Italia ai danni delle emittenti TV locali) nelle aree che presentano un’orografia complessa e  risultano difficoltose da coprire sia sul piano progettuale che economico.


La tecnologia 4G, in particolare la banda a 800Mhz, sarà utile in futuro per le zone non coperte ma i costi saranno molto elevati e forse irrecuperabili. Insomma, il futuro del 4G non è poi così roseo come qualcuno sta dicendo.

 

La maggior parte delle offerte 4G non è “flat”, ma prevede un massimo di “Gbytes scaricabili in un mese” con un  abbonamento base;  questi  si consumano  velocemente quando si è connessi in LTE, perché essendo il 4G decisamente più veloce rispetto al 3G, permette una capacità di download media di 50/60mbps. Questo comporta, ad esempio, che se  sei  su Youtube e vuoi vedere soltanto lo spezzone di un film o di un documentario, oppoure si apri un contenuto e ti accorgi che non è quello desiderato, nel tempo stesso di aprire la pagina per andare a visionarlo ti rendi conto che è già stato scaricato del tutto, mentre magari non volevi aprire il contenuto o preferivi navigare su altri link. Considerando l’utilizzo medio che gli utenti hanno della rete, questo comporta che i Gbytes a disposizione in un mese, finiscano per esaurirsi in meno di una settimana.

 

Intanto in Italia i normali utenti si affidano ancora ai sistemi 2G e 3G, rimbalzando da un operatore all’altro, e scegliendo l’offerta migliore proposta in quel momento, ottimisti di una rete UMTS che permetta loro di navigare.

 

Sembra improprio parlare di sviluppo della rete nel nostro paese.

 

Quanto fatto fino ad oggi è solo un rispondere alle esigenze politiche, più che alla vera necessità degli utenti.

 

Concludo parlando di un altro concetto, il “digital divide“, cioè portare la rete dati sia 3G che 4G nei paesini di poche anime, dove l’età media è di 75 anni. È un inutile spreco di risorse e di denaro che potrebbe essere ovviato con altre tecnologie più economiche ma non per questo meno valide  (es. Eolo, Linkem, Skylogic, ecc.) Queste tecnologie sono comunque in grado di portare la banda larga nelle aree che soffrono maggiormente della mancanza di infrastrutture.

 

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