Europa
Dal 2008, l’industria delle app ha creato 800 mila nuovi posti di lavoro. Non tutti sono Mark Zuckerberg e non tutti sono stagisti. Il dato include però almeno 300 mila sviluppatori di software: un ruolo che rappresenta il ‘cuore’ di quell’innovazione e di quel ceto medio di cui l’Europa ha disperato bisogno.
Questo per dire che internet è ormai un settore molto importante, che non fa ‘economia a sé’, ma che interessa tutti i segmenti economici e determina il nascere di nuova occupazione, che per l’Europa è come dire grasso che cola, visto che i nuovi dati sull’occupazione parlano di uno stabile 12,8% di cittadini dell’Unione (26,8 milioni di persone) che a settembre erano senza lavoro.
Da internet, insomma, una speranza di crescita. Una speranza, per una generazione di giovani disillusi circa il loro futuro. Ma anche una speranza che rischia di svanire come neve al sole in un Continente ‘Vecchio’ non solo per antonomasia, ma anche per mentalità, che predica unità ma si perde dietro una burocrazia infinita, che fa sembrare, al suo cospetto, anche il più farraginoso degli Stati membri una macchina perfetta.
Lo sviluppo di internet e della digital economy dipende infatti da un’industria, quella delle telecomunicazioni, che non ce la fa a investire per tutta una serie di motivi – dall’eccesso di regolamentazione all’assalto degli OTT (niente affatto regolamentati) passando per la concorrenza che ha portato al ribasso dei prezzi e dall’eccessiva frammentazione del mercato – che quale più, quale meno, hanno contribuito a un declino costante dei ricavi da tre anni a questa parte. Una discesa che fa sì che molte aziende siano eccessivamente indebitate o bersaglio di scalate da parte di gruppi stranieri.
Per illustrare lo stato del settore, alcuni giorni fa il Commissario Ue Neelie Kroes ha citato Winston Churchill che diceva che “se non si prende il cambiamento per mano, questo ti assale alla gola”.
“Il cambiamento digitale – ha detto il Commissario – è pronto ad assalire l’Europa alla gola e questo dovrebbe preoccupare l’intera economia”.
Nel mondo digitale, certo, non ci vuole molto a rovesciare le fortune di un’azienda: ne sono l’esempio BlackBerry e Nokia, passate nel giro di qualche anno da simboli dell’innovazione a prede di takeover al ribasso.
Senza star troppo a rimpiangere il passato, bisognerebbe svegliarsi e guardare al futuro, puntando sulle opportunità offerte da Big Data e Cloud computing, sui modelli di business data driven, sulle reti machine-to-machine e la stampa 3D.
Resta il fatto che tutti questi settori dipendono dalla connettività e che, come ammette lo stesso commissario “sia la regolamentazione europea che le aziende non ne forniscono abbastanza” per soddisfare le esigenze dei settori più disparati – dalla sanità alla logistica, dall’automotive al manifatturiero – che si poggiano sulla rete per crescere ed allargarsi a nuovi mercati.
È per questo, insomma, che le telecoms possono essere il punto di forza o il ‘tallone d’achille’ dell’economia: dipende, secondo la Kroes, dalla capacità di realizzare o meno il mercato unico digitale. Un mercato solo, non 28 mercati nazionali, in cui le aziende del settore e i consumatori possano vendere e comprare servizi liberamente, senza barriere di sorta.
Sarebbe un segnale giusto, secondo la Kroes, da dare ai cittadini, per fargli comprendere che le istituzioni, anche quelle europee, lavorano per loro.
Più facile a dirsi che a farsi, ahinoi, perché come ci ricorda anche George Orwell: “Per vedere cosa si trova di fronte al proprio naso c’è bisogno di uno sforzo costante”.