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Spettro radio, Pitruzzella: ‘L’uso efficiente di nuova capacità frequenziale tra concorrenza e crescita economica’

Italia


Vorrei partire da un dato recentissimo. In un rapporto del 2012 del governo britannico (Dept. For Business, Innovation and Skills e Dept. for Culture, media and Sport) il valore economico dello spettro utilizzato per servizi di comunicazione al pubblico è stato stimato pari a circa 61 miliardi di dollari, dei quali circa il 70% è coperto dai servizi di comunicazione mobile e la restante parte dai servizi televisivi. Non è facile misurare il valore d’uso di una risorsa frequenziale, ma si tratta di un dato significativo perché rivela come “l’economia dello spettro” contribuisca in via determinante alla crescita economica di un paese, con un peso che è destinato evidentemente ad aumentare con il potenziamento della Internet economy.

 

Si tratta peraltro, si badi bene, del valore dello spettro attualmente utilizzato in quel Paese, dunque esso non tiene conto del valore potenziale associato ad un uso più efficiente dello spettro esistente e, soprattutto, della nuova capacità frequenziale che potrebbe esser resa disponibile, come dirò, attraverso l’impiego di nuovi modelli di fruizione. Come è stato recentemente osservato nell’interessante rapporto congiunto BEREC-RSPG (2011), esiste in Europa una larga porzione di spettro sotto-utilizzata e inutilizzata, mentre sono disponibili tecnologie avanzate che possono permettere forme di condivisione volontaria all’interno del framework regolatorio europeo e in una prospettiva di complementarietà con i principi e le regole per la tutela della concorrenza e del mercato.

 

In contrasto con questo quadro, tracciato da BEREC-RSPG, vi è il grido di allarme lanciato da tempo dalla Commissaria Kroes2 sul rischio di un vero e proprio ‘spectrum crunch’ per l’Europa. Infatti, al crescere esponenziale dell’uso dei cosiddetti ‘mobile device’ – primi tra tutti gli smartphone, la cui diffusione sta cambiando le dinamiche concorrenziali e persino i nomi dei protagonisti, come dimostra al vicenda Microsoft/Nokia – la domanda di capacità di banda rischia di non essere soddisfatta da una proporzionale offerta. Non si tratta di un ‘semplice’ disequilibrio che il mercato saprà risolvere. C’è il serio rischio di frenare, quantomeno in Europa, uno straordinario potenziale di crescita economica derivante da nuove forme di business e di fruizione ‘digitali’, da più parti individuate come determinanti fondamentali per uscire dalle secche della crisi economica e alimentare il motore della crescita.

 

Nei programmi europei e nazionali delle Agende digitali la disponibilità di nuova capacità di banda larga è indicata come l’emergenza che abbiamo di fronte, alla quale supplire tanto con investimenti in reti fisse di nuove generazione, quanto con nuova capacità di banda mobile. La disponibilità di banda mobile è infatti necessaria non soltanto per connettere quei territori nei quali la domanda è dispersa e frammentata (rispetto alle quali non è dunque sostenibile un investimento massiccio di reti fisse a banda larga e ultra larga), ma anche per realizzare collegamenti machine-to-machine tra apparecchi mobili per far decollare un’ampia varietà di servizi (si pensi ai servizi della pubblica amministrazione, a quelli che riguardano l’istruzione e la sanità). Esiste dunque un ampio ambito di complementarietà tra banda larga ultra larga fissa e mobile e molto lavoro c’è da fare, a livello europeo e nazionale, per attuare politiche volte a rendere disponibile, in breve tempo, la capacità complessiva di banda che manca alle nostre economie.

 

E’ un tema che riguarda peraltro non solo la crescita di una dinamica concorrenziale nei mercati tradizionalmente conosciuti, ma anche e soprattutto la nascita di nuovi mercati concorrenziali per usi e modelli di business nuovi, caratterizzati da un elevato grado di innovazione e di partecipazione del capitale umano.

 

Questa condizione è particolarmente grave per l’Italia. Secondo gli ultimi dati forniti dall’AGCOM e dall’European Digital Scoreboard, il nostro Paese è ben distante da Regno Unito, Germania, Francia e Spagna quanto a penetrazione della banda larga fissa. Al contrario siamo tra i primi in Europa per numero di telefoni cellulari, e tra i primi al mondo per diffusione pro-capite di telefoni cellulari. Tuttavia, se guardiamo alla fruizione di Internet, in tutte le fasce di età, stiamo largamente indietro, incluso l’uso di Internet attraverso tablet, smartphone e così via. Questo significa che la diffusione di mobile device non ha soddisfatto ad oggi la domanda di Internet e cioè che non vi è stato un meccanismo di sostituzione dal fisso al mobile, anche per i limiti di capacità di banda mobile. Peraltro, ciò si riflette anche in un ritardo di servizi quali e-health, e-commerce, e-education che in altri Paesi europei hanno registrato significative crescite negli ultimi dieci anni. Ciò significa che per il nostro Paese è necessaria un’azione congiunta di policy che punti ad incrementare la capacità di banda tanto per i servizi di rete fissa quanto per i servizi di rete mobile, che non riguardano ovviamente soltanto i ‘telefonini’ ma tutte quelle forme di fruizione mobile di servizi sopra richiamate. E’ dall’ottima complementarietà tra questi due ambiti di intervento che possono dispiegarsi pienamente tutte le potenzialità connesse al mondo digitale. Dal lato nostro, dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, abbiamo segnalato al Governo Monti queste necessità, incoraggiando l’adozione di meccanismi volti a rendere disponibili porzioni di spettro oggi sottratti al mercato, attraverso nuove forme di condivisione dello spettro che si stanno affermando nel dibattito e anche nella pratica. Peraltro in quella circostanza segnalammo l’opportunità di mettere a gara la banda L, tipicamente inutilizzata, generando peraltro risorse pubbliche addizionali in un momento di grave contrazione del bilancio pubblico.

 

In Europa e in Italia, il dibattito sul potenziamento delle reti NGN fisse è ben presente, mentre molto meno si è discusso del potenziamento della capacità di banda per i servizi di rete mobile. Per questa ragione una iniziativa quale quella odierna è benvenuta nel senso di stimolare le istituzioni e il mercato a discutere del tema, in una prospettiva di iniziative concrete da assumere ai vari livelli. Si tratta dunque di capire come liberare nuove risorse frequenziali per soddisfare una crescente domanda di capacità di banda. Da questo punto di vista, io credo sia necessario una estensione, se non un vero e proprio cambiamento, del paradigma con il quale tradizionalmente abbiamo ‘governato’, nei diversi ruoli istituzionali, le politiche di gestione dello spettro.

 

Infatti, tipicamente, il meccanismo logico, giuridico ed economico fin qui seguito nella gestione dello spettro si è basato (a) sulla ‘liberazione’ di determinate risorse spettrali in una data banda per un determinato uso applicativo; (b) sulla individuazione dei soggetti che potevano concorrere per la titolarità della licenza; (c) sulla determinazione di una procedura concorrenziale (classica asta, beauty context e così via) per l’ottima assegnazione delle risorse. Questo paradigma si è focalizzato quasi esclusivamente sulla concorrenza a valle tra coloro che ambivano ad essere titolari di una licenza, ma raramente si è sposato con una visione più ampia e pluriennale di ‘politica’ dello spettro. Insomma, ci si è concentrati esclusivamente sul meccanismo di assegnazione della risorsa frequenziale data e non su una programmazione complessiva volta a capire quali usi fossero più idonei al tipo di frequenza oggetto di assegnazione. Probabilmente è stato un processo inevitabile che, infatti, ha riguardato non solo l’Europa ma anche e soprattutto gli Stati Uniti. Ma ciò che abbiamo imparato, nel corso degli anni, è che guardando allo spettro assegnato agli usi e al mercato in molti Paesi ci si è resi conto che, dato il grado di utilizzo effettivo e data la qualità dello spettro e la tipologia degli usi, in molte situazioni sarebbe stato più efficiente “cambiar di posto” – lo dico in termini atecnici – ad alcune assegnazioni. Per fare un esempio banale, è come se avessimo costruito un grande parcheggio dotato di posti di diversa misura e ci fossimo accorti, dopo aver venduto gli spazi, di aver relegato i Camper a posti auto destinati ad utilitarie e magari di aver messo qualche scooter in posti destinati a automobili di grossa cilindrata. Vale a dire che l’efficienza nell’uso dello spettro non è soltanto relativa al meccanismo d’asta di volta in volta individuato, ma anche alla corrispondenza che si instaura tra tipologia d’uso e qualità della risorsa frequenziale.

9. Peraltro, vi è anche un altro rilevante aspetto, spesso trascurato, ma dei quali sono ben consapevoli i produttori mondiali di mobile device, ed è il tema dell’armonizzazione. Mettere sul mercato smartphone, tablet e telefonini che possono viaggiare indifferentemente su bande diverse è molto costoso e si rifletterebbe su prezzi ai consumatori finali difficilmente sostenibili. Ma ciò significa, per i produttori, contrarre i mercati di sbocco e dunque gli investimenti. Costruire un apparecchio che può essere collegato ad una medesima frequenza in tutto il mondo cambia evidentemente la scala produttiva e permette di esser venduto a prezzi più bassi, alimentando al contempo una forte concorrenza sul lato della innovazione. Occorre dunque che una gestione dello spettro efficiente guardi non solo alle ‘aste’, ma anche alla corrispondenza ottima tra uso e qualità dello spettro e soprattutto che sia armonizzata tra i diversi Paesi.

 

Naturalmente, l’efficienza di questa corrispondenza tra uso e qualità ci viene spesso rivelata ex-post proprio dall’innovazione tecnologica e dunque il tema non è quello di prevedere meglio il futuro, ma semmai quello di individuare dei meccanismi che diano una sufficiente ‘flessibilità allocativa’ dello spettro, in modo da permettere un ‘ottimo parcheggio’ ridefinendo gli spazi e i posti assegnati. Questa tendenza si è di recente manifestata, in Europa e in Italia, attraverso il cosiddetto ‘refarming’, in base la quale effettivamente sono stati “spostati”, con opportune compensazioni da un certo spazio frequenziale ad un altro, gli attuali fruitori. Si è trattato di una scelta di policy positiva, ma non vi è dubbio che tali processi siano molto costosi in termini transattivi e di tempo. D’altra parte, si pone un problema di fondo nel puntare esclusivamente al ‘refarming’ come meccanismo ‘dinamico’ di allocazione dello spettro e cioè si pone il problema di come garantire agli attuali licenziatari che magari hanno speso molte risorse economiche per ottenere una data frequenza la certezza giuridica che in ogni caso non verranno limitati nell’uso dello spettro in futuro. Emerge cioè il noto trade-off tra incentivo ex-ante (che richiede certezza e dunque rigidità dei meccanismi allocativi) ed efficienza ex-post (che può invece rendere necessarie forme di adattamento flessibile).

 

Dal punto di vista concorrenziale, sappiamo bene – è stata la lezione del Premio Nobel Ronald Coase, di recente scomparso, il quale peraltro per primo si occupo di questi temi – che il mercato funziona quando i diritti sono ben definiti, garantendo cioè un pieno ed esclusivo uso della risorsa. Laddove dunque l’uso è connesso a rilevanti investimenti privati, la disponibilità a pagare per la risorsa, e dunque la forza stessa della rivalità concorrenziale sul mercato, dipende dalla qualità dei diritti. E’ chiaro allora che forme di refarming rivestano una natura di eccezionalità e che non possano essere la regola per un adattamento flessibile a mutate condizioni tecnologiche e concorrenziali.

 

Occorre allora individuare da un lato meccanismi alternativi che garantiscano flessibilità e armonizzaizone e dall’altro porzioni di spettro non utilizzate o sotto-utilizzate che possano essere rapidamente veicolate sul mercato, senza tuttavia indebolire i diritti acquisiti dagli attuali titolari.

 

Un meccanismo molto interessante che è stato suggerito a livello europeo, proprio dal Radio Spectrum Policy Group, è quello che prevede la condivisione dello spettro inutilizzato tra l’attuale utilizzatore e un potenziale fruitore. Le cosidette cognitive technologies oggi permettono di sapere quando, dove e come una data frequenza viene utilizzata e da chi. E’ dunque possibile definire dei diritti d’uso condizionati al fine di permettere una condivisione di una data risorsa che garantisca un uso esclusivo nel tempo o nello spazio, in funzione delle esigenze. Sto pensando innanzitutto alla rilevante capacità di spettro che oggi è riservata interamente ad usi pubblici (specialmente di sicurezza e difesa) e che invece potrebbe essere rimodulata al fine da un lato di veicolare al mercato la capacità eccessiva non utilizzata e dall’altro di recuperare significative risorse economiche per le politiche pubbliche.

 

Io credo che questa sia una interessante prospettiva da indagare e da percorrere, in quanto essa consentirebbe di risolvere il problema del cosidetto ‘spectrum crunch’ senza far rinunciare ad alcuno alle sue attuali prerogative e consentendo al mercato di crescere in modo aperto e pro-concorrenziale.

 

Non è questo il luogo nel quale discutere degli aspetti giuridico-economici di questo modello, ma si tratta di un percorso certamente auspicabile non a caso già oggetto di iniziative e sperimentazioni da parte dell’Amministrazione Obama e di alcuni Paesi europei. Andrebbe poi discusso come selezionare la capacità di spettro che può esser condivisa in via esclusiva o meno, ovvero con o senza licenza da parte del nuovo utilizzatore, ma credo che i modelli possibili possano poi esser declinati nello specifico e magari congiuntamente posti in essere in funzione delle diverse esigenze e della diversa qualità dello spettro.

 

In conclusione, ritengo che porre in essere nuove formule e nuovi meccanismi di condivisione dello spettro, naturalmente congegnati in modo tale da garantire una piena trasparenza e una forte dinamica concorrenziali in tutti i mercati interessati, sia oggi necessario all’Europa e all’Italia al fine di contribuire in modo decisivo agli obiettivi dell’Agenda digitale e di fornire una forte spinta innovativa a sistemici economici in crisi, non solo per ragioni congiunturali, ma anche per la loro annosa difficoltà ad aderire a mutamenti strutturali, quali sono quelli che caratterizzano l’economia digitale e dai quali sempre più dipende il destino della nostra crescita economica.

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