Italia
La vicenda del regolamento Agcom sul diritto d’autore rappresenta uno dei casi più interessanti di battaglia tra gruppi di interesse dell’era repubblicana. Forse un giorno qualche manuale di lobby ne traccerà un resoconto puntuale e terzo, con tanto di retroscena per svelare i dettagli ad uso degli operatori di relazioni istituzionali. Qui invece alcune considerazioni a caldo e di parte (chi scrive è direttore di Confindustria Cultura Italia, l’associazione di categoria dell’industria italiana dei contenuti culturali che chiede a gran voce l’entrata in vigore del regolamento).
Partiamo dall’ultimo episodio: un paio di settimane fa due parlamentari italiani del gruppo Socialisti e Democratici al Parlamento europeo, presentano una interrogazione alla Commissione sul tema.
I Parlamentari sono Patrizia Toia e l’ex Ministro dell’Istruzione, università e ricerca della Repubblica italiana Luigi Berlinguer. L’interrogazione, che rappresenta chiaramente la posizione contraria all’adozione del regolamento dei due eurodeputati, contiene la seguente frase:
“…La Commissione europea, alla quale era stata notificata la proposta di regolamento AGCOM, nel rispondere formalmente ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 98/34/CE del 22 giugno 1998 aveva fortemente censurato il provvedimento, effettuando rilievi importanti al testo della delibera che, in questi giorni, è stato tuttavia ripresentato con disposizioni ancora più limitative dei diritti e delle libertà fondamentali garantite dall’Unione…”
L’affermazione in neretto non è vera. Il parere della Commissione sulla precedente bozza di regolamento (in allegato) era tutt’altro che censorio nei confronti del documento notificato dall’Autorità, chiedeva chiarimenti all’Agcom circa alcuni aspetti della procedura e alcune definizioni e addirittura richiamava l’Autorità a non allargare il perimetro del fair use rispetto a quanto stabilito dal dettato comunitario.
Perché autorevoli e seri esponenti politici scrivono inesattezze così evidenti in un pubblico atto? Gli On.li Toia e Berlinguer hanno letto il parere e ne hanno frainteso il senso (!) oppure hanno firmato una interrogazione suggerita dai gruppi di interesse anti-copyright senza verificarne adeguatamente i contenuti?
L’interrogazione in questione rientra verosimilmente nella strategia semplice e dichiarata degli oppositori al regolamento: parlamentarizzare il dibattito (in Italia o a Bruxelles) per tentare di sottrarre all’Agcom, non tanto giuridicamente, quanto politicamente, la competenza sulla materia.
L’operazione era già stata sviluppata con successo nel corso del “tentativo Calabrò” dello scorso anno: l’autorità elabora il regolamento, lo sottopone a Bruxelles ottenendo un via libera con osservazioni, ma a quel punto arrivano i parlamentari pasdaran del popolo della rete. Sono quattro o cinque non di più, ma fanno convocare il presidente Calabrò in Commissione Cultura al Senato e gli intimano di fermarsi poiché del tema deve occuparsi il Parlamento. Calabrò, malgrado l’incoraggiamento del Governo ad andare avanti, non si fida, perde le certezze che lo avevano indotto ad aprire il dossier, e dopo due anni di lavoro getta la spugna, rimettendo nel cassetto il regolamento e chiosando: faciant meliora sequentes! Perché l’autorità indipendente si ferma davanti all’intimazione di pochi parlamentari?
De iure l’AGCOM è soggetta solo alle norme vigenti. De facto, un’Autorità si può piegare anche davanti alle pressioni di singoli parlamentari.
L’operazione di stop quindi riesce nel 2012, e quando il nuovo board, l’attuale, ritorna ad approfondire il dossier con una nuova versione del regolamento, la coalizione degli autonominati alfieri del popolo della rete ci riprova.
A Roma e a Bruxelles si riattivano. Ci sono prima di tutto i Cinque stelle tra i quali è facile fare breccia sui temi della rete: accusano l’Agcom di attentare alla libertà di internet e chiedono a gran voce l’audizione di Cardani per ripetere il “metodo Calabrò”. Ma il nuovo presidente e il nuovo board all’unanimità sono più consapevoli e determinati. Cardani, in audizione, fornisce tutte le spiegazioni del caso, afferma la propria convinzione circa la competenza in materia da parte dell’Autorità a legislazione vigente (peraltro autorevolmente confermata da un costituzionalista doc, il Prof. Valerio Onida) e chiaramente afferma che se il Parlamento deciderà di intervenire normativamente in materia l’Agcom non potrà che prenderne atto. Ma a legislazione vigente l’Agcom deve andare avanti.
Ulteriore tentativo è riposto in un disegno di legge presentato da un deputato del gruppo misto (eletto nelle liste PD-SVP), Francesco Palermo, che intende sottrarre all’Agcom la competenza in materia attribuendola ad un dipartimento del Ministero degli interni e allargare le libere utilizzazioni delle opere dell’ingegno, calpestando le norme fondanti del diritto internazionale che regolano la materia. Anche qui la strategia è chiara: basta presentare un DDL in Parlamento che l’Agcom dovrà fermarsi di fronte alla presa in carico della competenza da parte delle Camere (pare che identico testo sia stato presentato da due giovani pentastellati, ma non ne abbiamo contezza perché gli atti non sono ufficialmente stampati dagli uffici di Camera e Senato). Basta dunque che un deputato presenti un DDL per limitare l’indipendenza di una Autorità e sottrargli il potere regolamentare su un determinato tema? Nessuno pretende che una proposta per depenalizzare il reato di spaccio di droga sia sufficiente per chiedere a un giudice di non applicare la legge vigente che lo qualifica come tale. Ma nell’ambito del diritto d’autore ogni principio logico o giuridico può essere capovolto.
A schierarsi contro l’industria culturale italiana non è solo qualcuno del centro sinistra o il movimento Cinque stelle. Voci ostili arrivano anche dal centro destra: l’On. Palmieri che in passato aveva sostenuto alcune battaglie per la tutale dell’industria culturale italiana, pare averci ripensato e decide di appoggiare la battaglia per contrastare il regolamento Agcom. Perché?
Forse per lo stesso motivo per cui Grillo censura i suoi parlamentari che vogliono abolire il reato di immigrazione clandestina: regolamentare la rete per cercare di interrompere o limitare i reati o gli illeciti che possono realizzarsi online non è popolare e rischia di essere penalizzante in termini di consenso popolare. E’ quanto ci raccontò tempo fa un autorevole esponente del centro-destra che, nel dirsi consapevole delle ragioni dell’industria culturale, ammise di non sentirsela di fare battaglie impopolari (sic!).
E allora cerchiamo di capire chi o cosa si sta cercando di sacrificare sull’altare del consenso popolare. Ce lo disse con onestà intellettuale un altro leader, questa volta di sinistra, Nichi Vendola, che di industria culturale se ne intende, visto che proprio su questa ha declinato il rilancio della Regione di cui è governatore. Convenendo con noi, asserì che sul tema alcuni suoi colleghi stavano perdendo di vista uno dei valori fondanti della sinistra stessa: il lavoro.
E’ proprio il lavoro e la sua essenza, la remunerazione dello stesso, che si sta consciamente o inconsciamente tentando di sacrificare. Il lavoro di migliaia di addetti dell’industria culturale italiana: scenografi o truccatori, arrangiatori o tecnici del suono, programmatori o sviluppatori, scrittori o traduttori, editori o produttori, artisti, interpreti o esecutori e di tutti coloro che hanno ritenuto che la produzione culturale potesse dare loro “da mangiare”. Aderendo in buona fede all’empietà della battaglia tra major e libera cultura, alcuni stanno tradendo il dettato del primo articolo della nostra costituzione, calpestando il lavoro di chi produce cultura.
A questo punto non resta che dare un volto alle fazioni contrapposte o scoprire chi ne muove i fili. Noi ci siamo dichiarati: rappresentiamo l’industria italiana dei contenuti culturali. Con un lungo lavoro di dialogo abbiamo trovato posizioni di convergenza con l’industria dell’ICT. Smussando rispettive pretese, esplicitando gli obiettivi, fugando paure ataviche, in un lungo confronto, duro ma leale, l’industria dei contenuti e l’industria delle nuove tecnologie hanno convenuto sull’opportunità di un regolamento che renda la vita meno facile a chi spaccia in rete contenuti creativi senza averne l’autorizzazione. Abbiamo chiaramente dalla nostra anche il mondo sindacale dei lavoratori del settore.
Ma allora con chi stiamo combattendo? Dall’altra parte, individuiamo avvocati che sugli organi di stampa vengono definiti giuristi, giornalisti, rappresentanti di associazioni di consumatori, presidenti direttori o coordinatori di associazioni a tutela della “libertà della rete”.
Temo che non basti tutto ciò per capire i termini della questione. Credo invece che sia necessario guardare con maggiore attenzione il settore dell’economia digitale, per comprendere appieno cosa si celi dietro il totem della “libertà della rete”.
E’ lecito ritenere che a muovere le fila del gruppo anti-copyright ci siano tutti quei soggetti, aziende o privati che abbiano interesse ad evitare che nella rete ci sia qualunque tipo di regola per continuare a sviluppare i propri interessi, principalmente economici, magari imponendo le proprie regole. Si tratta di un mondo molto variegato che coinvolge grandi aziende che operano nella legalità, ma anche operatori spregiudicati che si beffano delle autorità grazie alla difficoltà di perseguire i reati che si realizzano on line.
Come andrà a finire? Difficile dirlo, perché non sempre i buoni (si, lo ammetto, riteniamo di essere dalla parte del giusto) vincono come nei vecchi film western. Ma noi siamo molto fiduciosi: l’Agcom ha elaborato una bozza di regolamento molto valida, si è confrontato con tutti gli stakeholder, ha consultato anche giuristi esterni ed ha sapientemente evitato terreni spinosi quali lo scambio di file peer to peer. Ha esplicitato chiaramente nel testo quello che non farà o non chiederà di fare (filtraggio preventivo, procedure di DPI, intrusione nella privacy degli utenti) proprio per evitare strumentalizzazioni a cui comunque stiamo assistendo. Su questo, sul merito, ci aspettiamo una risposta razionale e basata sui documenti: il Governo Letta ha già rappresentato in Parlamento per voce del Vice Ministro Catricalà il supporto politico all’iniziativa dell’Agcom. L’auspicio è che anche la maggioranza dei nostri Parlamentari non cada in fallo e approfondisca personalmente i dossier prima di prendere come oro colato i pareri dei “giuristi” di cui sopra.
Il fascino di alcuni parlamentari per i “Pirati” verrà meno, quando comprenderanno i danni che le loro posizioni arrecano al valore fondante per cui siedono in Parlamento.
E l’opinione pubblica? Il “popolo della rete”? Molti sapranno che esiste un’applicazione che blocca le pubblicità che compaiono sulle pagine web, fastidiosi pop-up, video o banner che però servono a remunerare chi lavora per il pubblico della rete. Il programma ha avuto un grande successo presso i nostri ragazzi. Dopo poco tempo però sui blog è esploso il dibattito e in molti hanno cominciato a domandarsi se era morale sottrarre remunerazione a chi stava fornendo loro contenuti gratuiti. A seguito della riflessione in molti hanno disinstallato il programma dai loro computer: una eclatante dimostrazione del fatto che il popolo della rete è molto più avanti di chi si autoproclama suo rappresentante.