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OK dalla Camera: niente più carcere per i giornalisti, ma chi diffama paga caro

Italia


Via libera dalla Camera al testo che riforma il reato di diffamazione a mezzo stampa, cancellando il carcere per i giornalisti e i direttori di testate. Voti a favore 308, contrari 117 (Sel e M5s), astenuti 8. Il testo passa ora al Senato.  

Per la diffamazione previste solo pene pecuniarie, da 5 a 10mila euro. Se il fatto attribuito è consapevolmente falso, la multa sale da 20mila a 60mila euro. Alla condanna è associata la pena della pubblicazione della sentenza. In caso di recidiva, vi sarà anche l’interdizione da uno a sei mesi dalla professione. La rettifica sarà valutata dal giudice come causa di non punibilità.

Il danno sarà quantificato sulla base della diffusione della testata, della gravità dell’offesa e dell’effetto riparatorio della rettifica. L’azione civile dovrà essere esercitata entro due anni dalla pubblicazione.

 

Le rettifiche delle persone offese devono essere pubblicate senza commento e risposta, menzionando espressamente il titolo, la data e l’autore dell’articolo diffamatorio. Il direttore dovrà informare della richiesta l`autore del servizio. In caso di violazione dell’obbligo scatta una sanzione amministrativa da 8mila a 16mila euro.

 

Nella legge sulla stampa rientrano ora anche le testate giornalistiche online e radiofoniche.

 

Fuori dei casi di concorso con l’autore del servizio, il direttore o il suo vice rispondono non più ‘a titolo di colpa’ ma solo se vi è un nesso di causalità tra omesso controllo e diffamazione, la pena è in ogni caso ridotta di un terzo. E` comunque esclusa per il direttore al quale sia addebitabile l’omessa vigilanza, l’interdizione dalla professione di giornalista. Le funzioni di vigilanza possono essere delegate, ma in forma scritta, a un giornalista professionista idoneo a svolgere tali funzioni.

In caso di querela temeraria, il querelante può essere condannato al pagamento di una somma da mille a 10mila euro in favore delle casse delle ammende.

 

Non solo il giornalista professionista ma ora anche il pubblicista potrà opporre al giudice il segreto sulle proprie fonti.

 

Anche per l’ingiuria e la diffamazione tra privati viene eliminato il carcere ma aumenta la multa (fino a 5mila euro per l’ingiuria e 10mila per la diffamazione) che si applica anche alle offese arrecate in via telematica. La pena pecuniaria è aggravata se vi è attribuzione di un fatto determinato. Risulta abrogata l’ipotesi aggravata dell’offesa a un corpo politico, amministrativo o giudiziario.

 

La riforma della legge sulla diffamazione era diventata centrale con il caso di Alessandro Sallusti.

Il giornalista era stato condannato a un anno e due mesi di carcere e a 5mila euro di pena pecuniaria per diffamazione a mezzo stampa, in riferimento a un articolo pubblicato sotto lo pseudonimo Dreyfus nel febbraio 2007 sul giornale Libero, di cui era direttore, giudicato lesivo nei confronti del giudice Giuseppe Cocilovo.

Una sentenza, confermata anche in Cassazione, che aveva sollevato un polverone.

La FNSI (Federazione Nazionale Stampa Italiana) aveva protestato fortemente, sostenendo fosse ingiusto che un giornalista dovesse scontare materialmente il carcere solo per aver svolto il proprio lavoro.

Sallusti ha poi evitato il carcere per diretto intervento del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che ha commutato la condanna in una multa da 15 mila euro.

 

Una lezione all’Italia era arrivata qualche settimana fa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo che aveva dato ragione a Maurizio Belpietro, stabilendo che condannare un giornalista alla prigione rappresenta una violazione della libertà d’espressione, salvo casi eccezionali come incitamento alla violenza o diffusione di discorsi razzisti (Leggi Articolo Key4biz).

 

Il direttore di Libero era stato condannato per diffamazione a quattro mesi di carcere dalla Corte d’Appello di Milano, poi sospesi, per aver pubblicato nel novembre 2004, quando era direttore de Il Giornale, un articolo firmato da Raffaele Iannuzzi dal titolo ‘Mafia, 13 anni di scontri tra pm e carabinieri’, ritenuto diffamatorio nei confronti dei magistrati Giancarlo Caselli e Guido Lo Forte.

I giudici di Strasburgo nella sentenza hanno spiegato che una pena così severa rappresenta una violazione del diritto alla libertà d’espressione di Belpietro. La Corte ritiene, infatti, che, nonostante spetti alla giurisdizione interna fissare le pene, la prigione per un reato commesso a mezzo stampa è, quasi sempre, incompatibile con la libertà d’espressione dei giornalisti, garantita dall’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti umani.

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