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Gli utenti internet vengono sempre più utilizzati dai social network come ‘testimonial’ delle pubblicità, spesso a loro insaputa.
Ha cominciato Facebook, pubblicando sulle bacheche i ‘Mi Piace’ degli amici su prodotti commerciali. Adesso è la volta di Google che vuole vendere i commenti dei suoi utenti agli inserzionisti.
L’obiettivo è sfruttare il meccanismo psicologico dell’emulazione: se lo dice un mio amico, mi fido!
Del resto i dati parlano chiaro. Il passaparola tra amici continua a essere la forma di pubblicità che raccoglie la maggiore fiducia tra i consumatori. Secondo un’indagine Nielsen, che ha misurato in Italia, Europa e resto del mondo il grado di fiducia dei consumatori nell’advertising e l’efficacia del messaggio pubblicitario, ben il 78% degli italiani (media europea 80%, media mondo 84%) dichiara di fidarsi, nel momento di prendere decisioni di acquisto, delle opinioni di conoscenti (Leggi Articolo Key4biz).
Nielsen indica che in seconda posizione (il 64% del campione italiano) dopo il passaparola vi sono le opinioni e le recensioni – frutto di concrete esperienze – postate sui social media.
Le reti sociali hanno ben capito quanto conta l’opinione degli utenti sul mercato pubblicitaria e adesso vorrebbero sfruttare questo nuovo canale per attrarre nuove entrate.
Google ha, quindi, aggiornato i termini di utilizzo dei suoi servizi che ora permettono al gruppo di usare le informazioni degli iscritti – compresi il nome, le foto e i commenti – all’interno di pubblicità su internet. Le nuove regole saranno applicate dal prossimo 11 novembre.
In questo modo la web company potrà vendere il sostegno dei suoi utenti nei confronti di prodotti o eventi al suo network di oltre due milioni di siti che fanno promozioni, con un bacino di visitatori di circa un miliardo di persone. Foto e commenti saranno presi da Google Plus, il social network del gruppo, su YouTube e su qualsiasi altro servizio offerto dall’azienda di Mountain View. In questo modo, potrebbe capitare a chiunque di vedere la propria faccia pubblicizzare un albergo o ritrovare le proprie parole a commento dell’uscita di un nuovo film.
A differenza di Facebook, che nei mesi scorsi è stato anche citato a giudizio da alcuni utenti, Google permetterà di scegliere se cedere le proprie informazioni per fini pubblicitari oppure no e in più non userà i dati dei minori di 18 anni. Il gruppo spiega infatti che per l’operazione è necessaria un’autorizzazione, chiarendo i termini con cui il nome e la foto del profilo potrebbero apparire nei prodotti: “La nostra priorità è mantenere al sicuro le informazioni degli utenti. Le persone con meno di 18 anni verranno automaticamente escluse”.
Il sostegno da parte di un utente nei confronti di un prodotto è un potente motore pubblicitario che può diffondere messaggi di marketing su larga scala. Google non ha ancora rivelato il modo in cui gestirà le informazioni e quali marchi saranno coinvolti nel nuovo progetto.
Google chiarisce che, per quanto riguarda le conferme condivise negli annunci, è possibile controllare l’utilizzo del proprio nome e della propria foto del profilo tramite l’impostazione Conferme condivise. Se l’impostazione viene disattivata, il nome e la foto del profilo non verranno mostrati negli annunci pubblicitari.
Ma questo nuovo servizio quanto è rispetto delle norme sulla protezione dei dati degli utenti?
Antonello Soro, Garante privacy, spiega a Repubblica di non aver ancora avuto modo di studiarlo tuttavia sottolinea che in Europa non è possibile usare nome e volto di una persona per una pubblicità.
La questione è, però, molto ampia e Soro osserva che anche la Ue ha difficoltà a intervenire su ‘fenomeni così veloci nel mutare’.
A settembre, ricorda Soro, insieme ai colleghi europei ha incontrato Google per chiedere chiarimenti su tre punti: come viene chiesto il consenso dei dati personali; durata di conservazione di questi dati che non può essere eterna; incrocio delle informazioni provenienti da diversi servizi (Leggi Articolo Key4biz.
Il Gruppo di lavoro G29, del quale fanno parte tutti i Garanti della Ue, ha infatti avviato un’azione collettiva su Google a seguito della policy sui dati degli utenti adottata dall’azienda nel marzo 2012 (Leggi Articolo Key4biz).
Il motore di ricerca continua a dire che ‘rispetta le leggi’. Ad aprile aveva dichiarato a Key4biz: “La nostra normativa sulla privacy rispetta la legge europea e ci permette di creare servizi più semplici e più efficaci”.
“Siamo stati costantemente in contatto con le diverse Autorità Garanti della Privacy coinvolte nel corso di questa vicenda e continueremo a esserlo in futuro” (Leggi Articolo Key4biz).
Ilgarante francese CNIL (a cui il G29 ha dato mandato di seguire il dossier, ndr), che in questa vicenda si gioca la propria credibilità, è pronto a colpire duramente (Leggi Articolo Key4biz). Ogni Stato può, infatti, procedere autonomamente per risolvere la disputa.
Cosa rischia Google se le risposte saranno giudicate insoddisfacenti?
Soro risponde “…Sanzioni pecuniarie per qualche centinaia di migliaia di euro, che per un colosso del genere sono irrilevanti. Ma è una partita aperta. Perché questi giganti si reggono sulla fiducia degli utenti. Se venisse a mancare quella finirebbe anche il loro business. Non è un dettaglio di poco conto”.