Lo scorporo della rete non si può fare…a meno che…

di di Raffaele Barberio |

Solo con prezzo dell'unbundling più alto è possibile lo scorporo della rete.

Italia


Raffaele Barberio

Le vicende relative allo scorporo della rete di Telecom Italia stanno assumendo toni parossistici.

Per lunghi mesi ci hanno fatto familiarizzare con l’idea che l’operazione potesse essere presa in carico dalla Cassa Depositi e Prestiti.

Poi contrordini e stop-and-go, con un tira e molla che è culminato negli ultimi giorni con uscite concitate e contraddittorie: dichiarazioni di scorporo imposto per decreto da fonti AgCom,  poi smentite, con dichiarazioni nelle stesse ore di fonti governative che smentiscono ogni ipotesi di azioni coercitive, per poi smentire se stesse dicendo che lo scorporo per decreto potrebbe essere la soluzione migliore per tutti.

Ma per tutti chi?

 

Va detto a chiare lettere che uno scorporo per decreto è impensabile.

Lo è per il diritto italiano.

Lo è per le norme europee.

Lo è perché non esiste alcun precedente in materia.

Ma lo è innanzitutto perché chi avrebbe potuto prendere decisioni che scongiurassero le circostanze che tutti oggi dicono di temere non lo ha fatto per anni e ha lasciato che le cose arrivassero allo stato attuale: 13 lunghi anni in cui non è stata registrata alcuna traccia, una dico una, di politica industriale nelle telecomunicazioni.

Altro che sistema strategico per il Paese…

 

Telecom Italia non è obbligata in alcun modo a fare lo scorporo e, avendo avviato un “processo volontario”, è nella condizione di fare marcia indietro in qualunque momento, se non sussistessero le condizioni per procedere.

D’altro canto, l’ipotesi di uno scorporo coercitivo della rete di Telecom Italia rappresenta un’opzione da cancellare, nonostante la straordinaria bagarre di queste ore e le vesti stracciate a destra e a sinistra, spesso con conflitti d’interesse di rappresentanti parlamentari a favore dello scorporo grandi come una casa.

Quindi, l’idea di uno scorporo della rete di Telecom Italia rischia ormai di diventare un’opzione da cancellare.

Tranne che in un caso.

Un solo caso.

L’unico che potrebbe rendere percorribile l’ipotesi di scorporo della rete.

Ed è a portata di mano…

 

Il cuore del problema è, infatti, la sostenibilità di una compravendita del genere e il punto di partenza è l’unbundling (ULL).

Il prezzo troppo basso dell’ULL in Italia, attualmente 9,28 euro con una proposta di riduzione di AgCom addirittura a 8,68 euro, rende di fatto impossibile lo scorporo della rete di Telecom.

I numeri non girano più.

Telecom Italia non riesce a valorizzare i propri asset in maniera adeguata.

La Cassa Depositi e Prestiti, dal canto suo, non può pagare a valore di mercato la rete e deve avere un ritorno tale da giustificare il proprio investimento.

Se il prezzo dell’ULL fosse aumentato a 10 euro (al valore fissato, ad esempio, in Germania, paese leader per numero di linee ULL in Europa), Telecom Italia potrebbe valorizzare la propria rete in maniera più corretta e Cassa Depositi e Prestiti potrebbe avere, solo in questo modo, un ritorno adeguato sull’investimento.

D’altra parte è dimostrato che i paesi del nord Europa che hanno un più alto prezzo dell’unbundling sono quelli in cui vi è la maggior diffusione di banda larga, il più alto livello di competizione, il più consistente flusso di investimenti.

Nella Newco della rete, Cassa Depositi e Prestiti potrebbe entrare con una quota tra il 30% e 40% lasciando, inevitabilmente, a Telecom Italia la maggioranza ed il ruolo di socio industriale con guida e gestione.

Non si intravedono altre soluzioni plausibili e realmente percorribili.

Il resto è deterrenza.

E vorremmo capire perché…

 

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