Italia
In attesa del cda del 3 ottobre, solo allora si saprà qualcosa di certo sul futuro di Telecom Italia, continuano a circolare le ipotesi più varie – tutto e il contrario di tutto – sulle possibili strategie del gruppo guidato da Franco Bernabè alle prese con l’arduo compito di ridefinire la struttura societaria e di scongiurare un eventuale declassamento del rating e il conseguente aumento degli interessi passivi sui 29,6 miliardi di debito della società.
Tra le ipotesi per alleggerire la zavorra del debito, l’ultima in ordine di tempo – riportata dall’agenzia Bloomberg – riguarda la possibile cessione delle torri wireless: allo studio, la creazione di una società in cui confluirebbero circa 12 mila torri, dalla cui vendita si potrebbe recuperare una cifra tra 500 milioni e 1 miliardo di euro.
Quanto al futuro di Telco, secondo indiscrezioni riportate da Reuters, su starebbe facendo strada la possibilità di allungare di altri sei mesi il patto di sindacato che lega i soci della holding. Uno slittamento che, secondo alcune fonti, sarebbe funzionale sia agli interessi dei soci italiani, sia a Telefonica interessata a mantenere lo status quo.
Le sorti di Telecom continuano intanto a tenere banco sui giornali: secondo quanto ipotizzato dal Corriere della Sera, dalla riunione di ieri – la prima di una serie di incontri informali del board volti a trovare consensi su un nuovo piano strategico prima del prossimo cda – sarebbe emersa la via del re-brandig, con Telecom Italia pronta a societarizzare tutte le attività, diventare di fatto una holding e – sulla scia di quanto già effettuato in Francia dall’incumbent France Telecom – assumere il marchio Tim.
Una soluzione ‘a costo zero’, almeno in questa parte, che sarebbe propedeutica a future cessioni: ipotesi, questa, che però non piace al mercato e sta spingendo il titolo al ribasso.
Un incontro, quello di ieri, durato 4 ore, incentrato sul cambio di direzione che Bernabè vuole imprimere al gruppo e che passerebbe anche dalla societarizzazione non solo della rete ma anche delle attività di customer care e commerciali, che diverrebbero società separate. Le attività commerciali, secondo la ricostruzione del quotidiano, sarebbero a loro volta suddivise in ‘business’ e ‘retail’ e inoltre, per quelle business ci sarebbe un ulteriore ‘spacchettamento’ in ‘settore pubblico e corporate’. A monte, verrebbe creata una subholding cui farebbero capo le attività societarizzate.
Sul piano degli investimenti nella fibra ottica, quindi, la società sarebbe pronta a cambiare strategia, per passare dall’architettura FTTC – cioè la fibra fino agli armadi sulla strada – all’FTTH, ossia la fibra ottica direttamente nelle case. Un’evoluzione che consentirebbe di sfruttare la rapida evoluzione delle smart-tv e dei cellulari di ultima generazione, ma che renderebbe anche più facili eventuali sinergie con Metroweb, come auspicato ieri dall’ad di F2i, Vito Gamberale, che peraltro ha affermato che “…se vi fosse un serio progetto di sviluppo della rete legato all’operazione di scorporo Telecom, F2i potrebbe intervenire conferendo Metroweb, salva la possibilità che uno o più dei suoi investitori privati decidano di partecipare. Occorre però decidere a livello istituzionale come si vuole agire: Telecom non può essere abbandonata a se stessa e serve un impegno forte”.
Il Messaggero, ipotizza invece la possibile cessione di Tim, che lascerebbe Telecom Italia concentrata sulle attività di rete fissa e il Brasile. Al progetto, che escluderebbe Telefonica e coinvolgerebbe solo partner italiani (dalla CDP alla Findim e F2i), starebbero già lavorando Mediobanca e Intesa Sanpaolo, anche per conto di Generali Assicurazioni, spiega il quotidiano romano.
Secondo Il Sole 24 Ore, quindi, la società di Cesar Alierta – anch’essa oberata dai debiti, che ammontano a oltre 50 miliardi di euro – potrebbe a breve portare in cda una proposta da sottoporre poi ai soci italiani per rilevare il controllo del gruppo.
Le carte, insomma, sono ancora tutte da scoprire e molte le incognite all’orizzonte, non ultima quello relativa al mercato brasiliano e al problema della sovrapposizione delle attività dei due gruppi nel Paese.
Il timore – che sta anche pesando sul titolo – è che una volta che Telefonica arrivasse a prendere il controllo della società, sarebbe obbligata dall’Antitrust carioca a spezzettare e rivendere Tim Brasil – che resta uno degli asset più redditizi di Telecom Italia.
In Borsa, la capitalizzazione della controllata è di circa 10,9 miliardi di dollari. Il 67% in capo a Telecom Italia vale quindi circa 7,3 miliardi di dollari (5,4 miliardi di euro).
“Sono sicuro che troveremo un accordo su una strada comune per il futuro di Telecom Italia” si è limitato a dire ieri Bernabè, definendo l’incontro a Milano ‘costruttivo’.