Privacy: necessità o lusso? Ancora in stallo la riforma Ue sulla protezione dei dati

di Alessandra Talarico |

Un tranquillo cittadino può ancora sperare che le sue email e le sue telefonate non finiscano in qualche database, non vengano scandagliate anche in assenza di circostanze che lo rendano un potenziale ‘sospettato’?

Unione Europea


Viviane Reding

La strada per il mercato unico digitale passa anche dall’armonizzazione delle norme sulla protezione dei dati. La Commissione sta lavorando da circa due anni a una riforma delle disposizioni attualmente in vigore – emanate nel 1995 – ma sul suo cammino ha dovuto affrontare l’opposizione di diverse lobby, che hanno tentato di annacquare alcune delle misure a loro dire troppo penalizzanti per i loro business. Pressioni che hanno anche avuto i loro effetti sul processo di riforma, visto che le Autorità europee si sono lasciate convincerea eliminare una clausola – ribattezzata ‘anti-FISA’ – che avrebbe limitato la capacità dell’intelligence statunitense di spiare i cittadini europei.

 

Ma anche i lobbisti, ha detto il Commissario Ue alla Giustizia, Viviane Reding, “non hanno più argomenti”. È giunto, quindi, il tempo di trovare un accordo, di mostrare determinazione e di fare dell’Europa un posto in cui i dati dei cittadini siano al sicuro.

La posta in gioco è molto alta: lo si è detto più volte che i dati sono la moneta di scambio dell’economia digitale. Solo quelli dei cittadini europei nel 2011 hanno toccato un valore di 315 miliardi di euro e il potenziale di crescita è enorme. Ma non si realizzerà se i cittadini non ritroveranno la fiducia nell’economia basata sui dati. Come emerge dagli ultimi numeri forniti dalla Ue, il 92% degli europei non si fida delle app, che troppo spesso raccolgono informazioni private senza chiedere il consenso e l’89% dice che vorrebbe sapere se e come i dati del loro smartphone vengono condivisi con terze parti.

Ma come fare a recuperare questa fiducia? “Innanzitutto facendo in modo che le aziende non europee, quando offrono servizi ai consumator europei, applichino la legge europea dal momento della raccolta a quello della cancellazione dei dati”. Le aziende che non si adegueranno, saranno passibili di multe fino al 2% del fatturato annuale.

Il nuovo regolamento stabilirà inoltre sia le condizioni alle quali i dati potranno essere trasferiti da un server nella Ue a uno oltreoceano – mettendoli alla portata del controllo della NSA – sia regole chiare sugli obblighi e le responsabilità dei fornitori di servizi cloud che processano i dati.

“In breve, quando i dati sono raccolti nella Ue, la Ue può stabilire misure di protezione” ha detto la Reding, aggiungendo poi che il Regolamento sul Data Protection “è la risposta dell’Unione alla paura della sorveglianza. E’ la risposta all’impressione che niente possa essere fatto”.

 

La riforma andrà quindi a completare il mercato unico digitale facendo in modo che le aziende che intendono operare in Europa non debbano rapportarsi a 28 normative differenti e a 28 interlocutori.

Per dare un’idea dell’attuale complessità, la Reding spiega che le attuali regole sono contenute in 12 pagine ma ogni paese le ha implementate in maniera diversa. In Germania, ad esempio, la legge federale sulla protezione dei dati è lunga 60 pagine: “prendete queste 60 pagine e moltiplicatele per 28 stati membri, avrete idea di ciò che l’espressione ‘complessità normativa’ voglia dire in pratica. Una montagna di burocrazia con costi enormi”.

La Commissione vuole quindi sostituire questa montagna con una legge composta da 91 articoli e valida in tutta Europa. Un continente, una legge insomma, per proteggere i dati dei cittadini ma anche per dare un vantaggio competitivo alle aziende europee, che si tratti di PMI che si occupano di gaming (nella sola Amburgo, ad esempio, ce ne sono 155 che danno lavoro a oltre 3 mila persone) o di fornitori di servizi cloud.

Anche il presidente della commissione, Jose Manuel Barroso, la scorsa settimana nel suo discorso sullo Stato dell’Unione ha riconosciuto la validità di questa riforma, sottolineando che la sua adozione “è di estrema importanza per la Commissione”.

 

Certo, ad agevolare il lavoro della Commissione, non hanno aiutato le notizie recenti sul datagate, che hanno tolo il velo a prassi consolidate di monitoraggio delle informazioni digitali da parte del Governo Usa: esiste ancora la privacy? Un tranquillo cittadino può ancora sperare che le sue email e le sue telefonate non finiscano in qualche database, non vengano scandagliate anche in assenza di circostanze che lo rendano un potenziale ‘sospettato’?

Il dubbio è lecito e la Commissione, con questa attesa riforma, mira proprio a rassicurare i cittadini europei che la privacy è una necessità, non un lusso.

 

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