I social network ci rendono più arrabbiati? Ecco perchè è l’ira il sentimento più influente in rete

di Alessandra Talarico |

Uno studio condotto in Cina rivela che la rabbia si diffonde in rete molto più velocemente di altri sentimenti come la gioia o la tristezza.

Cina


Rabbia in rete

Le reti sociali – da Facebook a Twitter – sono tra le destinazioni online preferite in tutti gli angoli del Pianeta. Facebook, ad esempio, ha una penetrazione del 71,33% fra gli utenti che accedono alla rete; Twitter conta oltre 200 milioni di utenti attivi al mese e il suo omologo cinese, Weibo, ha attratto più di 500 milioni di utenti in meno di 4 anni.

Ma in che modo queste piazze virtuali, in cui confluisce la gran parte delle nostre vite, hanno modificato le nostre abitudini e il nostro modo di pensare, se non di essere?

Di sicuro, ci dice uno studio condotto in Cina e ripreso dalla MIT Technology Review, internet ci sta rendendo tutti un po’ più ‘arrabbiati’.

“Connessi da legami sociali online, gli utenti si influenzano emotivamente a vicenda, ma la diffusione di sentimenti di rabbia è significativamente più alta di altri sentimenti ‘positivi’ come la gioia”, indica Rui Fan della Beihan University, a capo del team che ha condotto la ricerca.

 

Lo studio, basato su circa 70 milioni di post su Weibo pubblicati in sei mesi da oltre 200mila persone, ha monitorato la diffusione sul social network di 4 sentimenti – gioia, tristezza, rabbia e disgusto – rilevando come i sentimenti di rabbia si diffondano in rete molto più rapidamente e ampiamente degli altri.

Secondo la ricerca, infatti, i post ‘arrabbiati’ hanno molte più probabilità di essere ritwittati dagli amici o di ricevere risposte altrettanto ‘arrabbiate’, “fino a tre gradi di collegamento dall’utente che ha postato il messaggio” sottolineano i ricercatori.

Così non accade, invece, con i messaggi allegri o attraverso cui si esprime disgusto o tristezza.

Inutile dire, poi, che gli utenti con il maggior numero di contatti – follower, amici, come li vogliamo chiamare – tendono a influenzare di più i loro vicini.

 

E non si tratta certo di un problema prettamente cinese: anche un altro studio, condotto negli Usa dal Pew Research Center è giunto alla conclusione che  twittare rende le persone generalmente più ‘negative’.

 

Tra le soluzioni più spesso proposte alla diffusione dei commenti rabbiosi, c’è quella di porre fine all’anonimato, ma nessuno effettivamente sa se costringere i commentatori seriali a rivelare il loro nome apporterà un po’ di civiltà nelle reti sociali o nel modo in cui ciascuno di noi si rapporta alle nuove tecnologie. Pensiamoci un attimo: quanta civiltà c’è in chi controlla ossessivamente la posta a tavola o in chi trascorre tutto il viaggio in treno conversando ad alta voce al cellulare?

Più logico sarebbe invece, sottolinea il New York Times Magazine, educare fin dalla più tenera età allo sviluppo dell’intelligenza emotiva, ossia di tutte quelle abilità astratte che aiutano le persone a rapportarsi agli altri senza ricorrere al conflitto. Solo così anche internet sarebbe un posto “più gentile ed empatico”.

 

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