Diritto all’oblio, Max Mosley contro Google: ‘I motori di ricerca responsabili dei contenuti illegali’

di Alessandra Talarico |

Secondo Google la legge non consente di soddisfare la richiesta di Mosley di un filtro che individui e cancelli automaticamente determinati contenuti. Si tratterebbe di ‘un allarmante modello di censura automatica’.

Francia


Max Mosley

Max Mosley si scaglia contro Google, che si rifiuta di implementare un filtro permanente in grado di bloccare l’accesso attraverso il motore di ricerca a foto e articoli relativi ad un festino sado-maso organizzato dall’ex patron della Formula Uno in cui questi compariva in vesti da nazista.

Mosley, che ha portato il caso nei tribunali di Francia e Germania, accusa Google di difendere un principio “completamente folle”. La società di Mountain View sostiene infatti che – pur ritenendo sacrosanta la soppressione dei link che riportano alle immagini incriminate quando questi vengono segnalati – l’applicazione di un filtro permanente introdurrebbe nell’ordinamento “un allarmante modello di censura automatica”.

 

Il caso riaccende i riflettori sulla questione della responsabilità dei motori di ricerca per le informazioni contenute nei risultati presentati agli utenti.

“Il proprietario di un negozio o il gestore di un pub sono ritenuti responsabili di quello che vendono e a chi. Non c’è ragione per non fare lo stesso con i fornitori di servizi internet”, ha dichiarato Mosley al Financial Times, sottolineando che “anche un bambino di 10 anni dopo pochi attimi di riflessione arriverebbe alla conclusione che non si può avere un internet completamente aperto”.

 

La risposta di Google è arrivata con un post pubblicato poco dopo l’udienza al tribunale di Parigi da Daphne Keller sul blog ufficiale della società: “Siamo solidali con il signor Mosley e con chiunque ritenga che i suoi diritti siano stati violati. Offriamo strumenti rigorosi per aiutare le persone a rimuovere specifiche pagine dai risultati di ricerca quando quelle pagine violano chiaramente la legge. Abbiamo rimosso centinaia di pagine anche per il signor Mosley e siamo pronti ad eliminarne altre che lui individuerà”.

Ma secondo Google la legge non consente di soddisfare la richiesta di Mosley di un software che individui e cancelli automaticamente determinati contenuti. Anche la Corte di Giustizia europea, afferma Keller, ha sottolineato in diverse sentenze che i filtri sono strumenti che mettono a rischio la libertà di espressione e il diritto fondamentale di accedere all’informazione.

“Un insieme di parole o immagini può violare la legge in un contesto ma essere legale in un altro”, ha aggiunto, spiegando poi che anche l’uso di un filtro non risolverebbe i problemi di Mosley, visto che le pagine rimosse dal motore di ricerca sarebbero comunque accessibili per altre vie.

La questione, secondo Keller, non riguarda solo Google ma l’intera industria: se le richieste di Mosley dovessero essere accolte “ogni startup avrebbe il costoso obbligo di costruire nuovi strumenti di censura – nonostante il danno ai diritti fondamentali degli utenti e l’inefficacia di tali misure”.

“Chi produce carta o costruisce rotative non è responsabile di eventuali violazioni commesse da chi usa io loro prodotti. La responsabilità dei contenuti illegali è di chi li produce; come le web company agiscono per ridurre la diffusione dei contenuti è stabilito dalla Direttiva eCommerce”, ha concluso Keller.

 

Un recente pronunciamento dell’avvocato generale della Corte di giustizia Ue ha in effetti dato ragione a Google che aveva presentato un ricorso contro il Garante privacy spagnolo, sostenendo che l’azienda non è tenuta a far valere il ‘diritto all’oblio’ e a cancellare i dati personali pubblicati da altri siti e che il motore di ricerca trova. Secondo l’avvocato generale della Corte – le cui conclusioni sono quasi sempre recepite dalle sentenze – “i fornitori di servizi di motore di ricerca non sono responsabili, ai sensi della direttiva sulla protezione dei dati, del fatto che nelle pagine web che essi trattano compaiano dati personali”.

 

I fatti risalgono a marzo del 2008, quando il tabloid britannico News of the World pubblicò in prima pagina la notizia “Il boss della Formula 1 in un’orgia nazista con 5 prostitute”, con tanto di immagini tratte da un video girato da uno dei partecipanti.

Mosley, figlio di Oswald – leader dell’Unione Britannica dei fascisti – fece causa al tabloid e il tribunale gli diede ragione, comminando a News of the World una multa di 60 mila sterline per violazione della privacy e obbligandolo a risarcire Mosley anche delle spese legali per 420 mila sterline. Secondo i giudici britannici, nel video non vi era prova di ‘comportamento nazista’ e perciò la pubblicazione era ingiustificata perchè non vi era alcun interesse pubblico. Respinta invece la richiesta di ingiunzione per impedire che il sito del giornale mantenesse disponibile il filmato.

Mosley si rivolse quindi alla Corte europea dei diritti umani che però ha ritenuto quindi che la Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo non obbliga i media ad avvertire le persone prima di pubblicare informazioni sul loro conto e che, dunque, le leggi britanniche sui media sono adeguate a proteggere la privacy dei cittadini.

 

Mosley ha speso più di 500 mila sterline per rimuovere i contenuti in questione da diverse centinaia di siti in Germania, Francia e Regno Unito, per poi rivolgere la sua attenzione direttamente ai motori di ricerca perchè – ha affermato – “…non ha nessuna importanza se qualcuno carica delle foto su internet se non c’è un motore di ricerca che le va a ripescare”.

 

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