Italia
Le dimissioni del prof. Maurizio Dècina da commissario AgCom giungono inaspettate e aprono delle problematicità di non poco conto su più fronti.
Il primo fronte riguarda le competenze.
Maurizio Dècina è persona di grande esperienza e conoscenza del settore, ad un livello non eguagliabile in questa AgCom, e la sua assenza determinerà inevitabili deficit di competenze.
Non sarà facile sostituirlo, anche se non sarà impossibile e già si fanno le prime congetture sulla sostituzione “più naturale”.
Il secondo fronte riguarda le ripartizioni politiche attraverso cui sono stati posizionati i commissari AgCom al momento della loro elezione nel giugno 2012.
Come si ricorderà, centrodestra, centro e centrosinistra si ripartirono i seggi: due al Pdl (Antonio Martusciello e Antonio Preto), uno al PD (Maurizio Dècina), uno all’UDC (Francesco Posteraro).
Ora il PD dà per scontata la sostituzione di Dècina con un nuovo commissario espresso dallo stesso partito, come prassi suggerisce.
Ma non è detto che vada così.
O quantomeno che vada “solo” così.
La nomina di questo consiglio AgCom risale ad un’era la cui percezione è ben superiore ai soli 15 mesi che ci distanziano da essa.
Se pensiamo a quei giorni, li percepiamo come un contesto politico appartenente ad un’era geologicamente distante.
Il PDL e PD erano, demoscopicamente, appaiati nelle preferenze degli italiani su percentuali dominanti. L’UDC di Casini era su percentuali superiori al 5% dell’elettorato.
Insomma vi erano tutte le condizioni per assegnare due consiglieri a ciascuno dei due grandi schieramenti e fu molto bravo Pierferdinando Casini a reclamare sul filo di lana un posto per un consigliere di nomina UDC, condizione che il PD decise di accettare ob torto collo.
Ma era un’altra Italia anche per altre considerazioni.
Mario Monti era Presidente del Consiglio, ben lontano dall’ipotesi di candidarsi con un proprio partito politico, anzi era percepito da tutti come il futuro Presidente della Repubblica.
Nessuno quindi se la sentì di mettersi di traverso quando impose alla testa dell’AgCom un suo uomo fidato come il prof. Angelo Marcello Cardani (e alla testa della RAI altra persona di sua fiducia come l’attuale presidente Anna Maria Tarantola).
Oggi apparteniamo tutti ad un altro mondo.
Massimo D’Alema e la segreteria di Pierluigi Bersani dell’allora PD, da cui scaturì la nomina di Maurizio Dècina, sono fuori dai principali radar della politica.
Pierferdinando Casini, che riuscì a imporre il consigliere Francesco Posteraro, dispone non più del suo piccolo ma coriaceo partito del 5-6%, ormai disintegrato, ma solo di una piccola rappresentanza al Senato (nonostante le dichiarazioni di invincibilità dell’area centrista, di cui l’Italia “non potrebbe fare mai a meno“, per la vecchia regola del “…Tanto moriremo tutti democristiani..”).
Lo stesso PDL è nel pieno di una mobilitazione legata alle sorti del suo leader, una mobilitazione che tradisce uno stato di debolezza intrinseca.
Tutte considerazioni che pesano sulla contingenza dettata dalla formale necessità della “semplice” sostituzione di un commissario AgCom.
Sette anni di mandato sono troppo lunghi, se consideriamo che ne è trascorso solo uno e che la composizione dell’attuale Parlamento esprime un Paese radicalmente diverso da quello che nominò, appena nel giugno dello scorso anno, il consiglio AgCom in carica.
Potrebbe prevalere una ragionevole pressione per un ri-modellamento dell’Autorità.
Le ragioni sono del tutto evidenti.
In caso di semplice sostituzione del consigliere Maurizio Dècina, AgCom avrebbe due consiglieri PDL (Martusciello e Preto), un consigliere PD (in sostituzione di Dècina), ma anche ben due rappresentanti del Centro (il presidente Cardani e il consigliere Posteraro).
Quest’ultima circostanza è già di per sé mal accettata dalle attuali componenti politiche rappresentate in seno al consiglio dell’AgCom.
Ma è prevedibile che non sarà facilmente digerita da quella parte del nuovo Parlamento eletto nello scorso febbraio, che potrebbe non gradire una semplice surroga del consigliere Dècina dimissionario e reclamare un ruolo attivo, peraltro difficilmente contestabile.
C’è da chiedersi se il M5S accetterà di rimanere alla porta dell’AgCom.
E in questo caso il PD accetterebbe di farsi da parte, per cedere il suo unico posto?
E cosa potranno fare gli attuali consiglieri e presidente legittimamente eletti?
Difficile che tutto rimanga come prima.