Unione Europea
In un mondo sempre più hi-tech, dove smartphone, tablet e televisori intelligenti sono onnipresenti, i contenuti audiovisivi sono sempre più disponibili, un boccone prelibato a portata di mano.
I consumatori possono disporre di un ampio ventaglio di servizi on-demand che propongono film, video musicali, avvenimenti sportivi e anche ciò che con una certa pudicizia viene definito ‘intrattenimento per adulti’.
Ma a quali norme far riferimento per la distribuzione di questi contenuti? A quali leggi? Come possiamo proteggere i minori che smanettano su internet da immagini o argomenti ‘scottanti’ ?
Per regolamentare e controllare i contenuti on-demand, è necessario cominciare a definirli. Ed è proprio a questi argomenti che è dedicato l’ultimo Rapporto IRIS ‘What is an On-demand Service?’, dell’Osservatorio europeo dell’audiovisivo, organo del Consiglio d’Europa di Strasburgo.
Nel suo articolo ‘On-Demand Services: Made in the likeness of TV?‘, l’analista Francisco Cabrera-Blázquez spiega che la Direttiva Ue sui Servizi media audiovisivi regolamenta esclusivamente le trasmissioni tradizionali e i contenuti on-demand assimilabili a quelli televisivi. Secondo l’autore, “con questo approccio la Direttiva esclude dal proprio campo di applicazione la maggior parte dei contenuti audiovisivi attualmente disponibili su internet”.
L’analista ritiene inoltre che le regole siano più severe per quanto riguarda la trasmissione televisiva rispetto ai servizi audiovisivi on-demand come nella protezione dei minori, la promozione delle opere europee, ma anche nei limiti di tempo posti alla pubblicità o alle televendite.
Per Cabrera-Blázquez, la Direttiva manca di chiarezza e analizza come i vari Paesi europei hanno modificato le proprie legislazioni nazionali per adattarle a queste disposizioni di portata nazionale.
In Italia è strato introdotto un parametro finanziario per cui solo i servizi che generano un fatturato annuo di oltre 100 mila euro sono considerati servizi media audiovisivi on-demand.
Nel Regno Unito, per esempio, l’Ofcom ha delegato a un organo indipendente (The Authority for Television On Demand – ATVOD) il compito di regolamentare i servizi on-demand. L’Ofcom mantiene tuttavia l’ultima parola quando si tratta di determinare se un servizio debba essere considerato come on-demand.
Altro fatto interessante, il regolatore della Comunità francese del Belgio ha introdotto una differenza concettuale tra piattaforma aperta (liberamente accessibile) e chiusa accessibile unicamente con l’autorizzazione del distributore (reti via cavo).
Cabrera-Blázquez termina l’analisi ponendo l’accento sui limiti della Direttiva e sulle 50 zone grigie che restano ancora da definire.
Esistono problemi di classificazione per i quotidiani online che offrono video, per le piattaforme di contenuti prodotti dagli utenti o da professionisti del settore e per i servizi di downloading a pagamento.
Alcune controversie sono già in corso in Europa. In Austria per esempio l’Autorità di regolazione nazionale ritiene che la sezione video del giornale “Tiroler Tageszeitung” sia un servizio on-demand, anche se l’editore pensa il contrario.
Nel Regno Unito, l’Autorità per la Tv on-demand (ATVOD) ritiene che la BBC abbia violato la legge relativa alle comunicazioni non registrando la propria pagina su YouTube come un servizio di programmi on-demand.
Una decisione che è stata tuttavia bloccata dall’Ofcom che ha considerato questi estratti non assimilabili a programmi televisivi.
L’argomento è ampio e complesso, per questa ragione la Commissione Ue ha recentemente lanciato una consultazione pubblica sulle sfide poste da un mondo audiovisivo sempre più convergente, chiedendo, tra le altre cose, “se sarebbe giusto rivedere la definizione di fornitori di servizi media audiovisivi e/o il campo di applicazione della Direttiva, in modo da imporre ai servizi che sono attualmente esclusi dal campo una parte o tutti gli obblighi della Direttiva”.