Scorporo, Bernabè: ‘Nessuna marcia indietro o ritorsione, ma serve certezza e coerenza con gli orientamenti Ue’

di Alessandra Talarico |

'Siamo tutti persone ragionevoli e ritengo troveremo le risposte giuste per andare avanti: nessun passo indietro ma solo il desiderio di verificare che ci siano ancora le premesse da cui siamo partite ossia le direttive europee', ha affermato alla Camera.

Italia


Franco Bernabè

Il progetto di scorporo della rete è “enorme, complesso e ambizioso” ed è fondamentale per la riorganizzazione e la competitività del settore tlc e per la crescita complessiva del Paese. In quest’ottica e per chiarire i motivi della decisione di “subordinare” lo scorporo a una verifica “della coerenza dei contenuti e del percorso regolatori”, il presidente di Telecom Italia ha ribadito stamani nel corso di un’audizione informale alla Commissione Trasporti che la società “non vuole tirare nessuno dalla giacchetta e men che meno fare ritorsioni”.

“Vogliamo soltanto – ha precisato Bernabè – che vengano mantenute le premesse” e cioè che lo scorporo venga incanalato in quello che è il percorso definito dal commissario Neelie Kroes, che in merito agli incentivi per gli investimenti in fibra ha puntualizzato tre direttrici: “stabilità dei prezzi in rame, non orientamento al costo per gli investimenti sulla fibra e stabilità del quadro regolatorio al 2020”.

 

“Quando abbiamo iniziato a riflettere sullo scorporo lo abbiamo fatto con in mente la dichiarazione della Kroes, che – dopo due anni in cui ha ritenuto che per incentivare gli investimenti nella fibra bisognava abbassare i prezzi del rame – ha cambiato rotta, avvicinando il tema della regolamentazione al meccanismo del RAB (Regulated Asset Base) come per l’energia e il gas”, ha aggiunto Bernabè, sottolineando quindi che solo nel 2012 si sono finalmente create le precondizioni per realizzare lo scorporo e che solo per questo “non lo si è fatto prima”.

“Sulla base di questo quadro abbiamo iniziato a riflettere sullo scorporo, ritenendolo un progetto valido e fondamentale”, purché  “ancorato sugli indirizzi espressi dalla Ue”.

“Ci siamo quindi sorpresi per la decisione Agcom e abbiamo ‘subordinato’ il prosieguo del progetto al rispetto delle indicazioni Kroes all’interno di un percorso che ci dia certezze”.

 

“Il nostro progetto non mira a eliminare le regole, come taluno dei nostri concorrenti ha maliziosamente e immotivatamente argomentato – ha aggiunto – ma, al contrario, rafforza il controllo sulla non discriminazione assicurando la fornitura di prodotti e servizi pienamente equivalenti, così da incentivare le dinamiche concorrenziali a beneficio dei consumatori in termini di scelta, qualità e prezzi”.

 

Ribadendo, quindi, il profondo rispetto dell’autonomia e delle prerogative dell’Autorità, Bernabè ha però sottolineato che un progetto di questa portata, “coraggioso e innovativo”, richiede altrettanto coraggio e innovatività nelle controparti, anche in considerazione delle “nostre caratteristiche di società quotata e, quindi, esposta alle pressioni dei mercati finanziari”.

Telecom Italia, ha detto ancora, investe ogni anno 3 miliardi di euro, di cui il 70% è destinato alla rete, “difficile quindi poter dire che abbiamo mancato gli impegni per lo sviluppo delle infrastrutture”, ancor più in un contesto in cui la mancanza di infrastrutture alternative rende più oneroso che negli altri paesi il raggiungimento degli obiettivi dell’agenda digitale europea.

Bernabè si riferisce, in particolare, alla Tv via cavo, che non è stata sviluppata “per motivi che tutti sappiamo” (alla stessa Telecom Italia, ha ricordato, venne impedito di sviluppare il progetto ‘Socrate’ su cui l’azienda aveva investito), ricordando che “L’upgrade tecnologico del cavo coassiale alla banda ultra larga costa una settantina di euro. Portare la fibra fino a casa costa 1000 euro”.

L’assenza di una infrastruttura via cavo in concorrenza con la rete in rame e con la nascente rete in fibra, ha determinato, a giudizio di Bernabè, un duplice risvolto negativo per Telecom Italia, rispetto agli altri operatori storici: “una forte pressione “istituzionale” per il conseguimento degli obiettivi infrastrutturali 2020 dell’Agenda Digitale e, allo stesso tempo, una maggiore intensità della regolamentazione dell’accesso, sia su rame che su fibra, un più elevato livello di contenzioso con i concorrenti e un più penetrante intervento antitrust. E questa pressione regolamentare sull’accesso non si è attenuata nonostante gli impegni di “Equivalence of Output” adottati da Telecom Italia nel 2008 ed estesi anche ai nuovi servizi in fibra”.


Il progetto della separazione della rete e l’introduzione dell’Equivalence of Input – decisi per altro “su base volontaria” – sono il risultato di un anno di studi. Queste iniziative hanno una “portata pro competitiva più ampia di quella prospettata dalla Ue e di quanto realizzato nel Regno Unito con Open Reach”.

Per questo l’azienda chiede che il percorso verso lo scorporo sia coerente con gli orientamenti europei così da apportare “benefici per tutti: per noi, per gli OLO e per il paese”.

 

Lo scorporo, “non riguarda una bad company ma al contrario…Opac è dotata di risorse molto importanti e in prospettiva di una redditività per accelerare gli investimenti”, ha quindi chiarito, spiegando che il perimetro dello scorporo è definito sulla base delle infrastrutture non replicabili “perchè tutti devono poter sviluppare i servizi nelle stesse modalità e con gli stessi processi e tutti devono investire nelle reti a monte”.

La stessa Telecom – ha aggiunto – “si assesterà sugli stessi punti di rete su cui si assesteranno gli OLO”.

 

Il progetto di separazione, ha ribadito il presidente esecutivo Telecom, potrebbe contribuire al rilancio degli investimenti in uno dei comparti strategici del paese ma è anche un progetto conplesso “…che deve contemperare gli interessi del Paese, che chiede uno sviluppo rapido ed efficiente di infrastrutture e servizi digitali, degli operatori alternativi, che necessitano di un chiaro quadro competitivo, dei consumatori, che devono poter avere la possibilità di scegliere servizi ed operatori a cui affidarsi, ma anche di Telecom Italia che, con i suoi 54.000 lavoratori e 3 miliardi di euro di investimenti annui in Italia, rappresenta un valore per il Paese”.

 

E, proprio in ragione di questa complessità, ha aggiunto, “il progetto di separazione richiede una condivisione profonda da parte del Parlamento e del Governo, delle AutoritàSpetta al Parlamento e al Governo definire e attuare interventi di politica industriale in grado di rilanciare il settore; spetta, invece, all’Autorità di settore definire un quadro di regole che assicuri una adeguata stabilità dei prezzi dell’accesso in rame e una flessibilità dei prezzi dell’accesso in fibra, in linea con i principi della raccomandazione Kroes orientati proprio a favorire il conseguimento degli obiettivi 2020 dell’Agenda digitale”.

 

Bernabè si è detto tuttavia ‘ottimista’ per il futuro del progetto: “Siamo tutti persone ragionevoli e ritengo troveremo le risposte giuste per andare avanti: nessun passo indietro ma solo il desiderio di verificare che ci siano ancora le premesse da cui siamo partite ossia le direttive europee”, ha concluso.

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