Italia
Pubblichiamo di seguito il contributo di Nicola De Carne (Amministratore delegato, Wi-Next), in occasione del lancio di Wi-Style, il nuovo web-magazine di approfondimento promosso da Wi-Next.
Il 7 e 8 di Giugno sono stato ospite al Convegno dei Giovanni Industriali a Santa Margherita Ligure, durante il quale ho avuto occasione di discutere e condividere con molti giovani imprenditori e non solo, di alcuni argomenti a me cari da sempre, quali l’importanza di praticare processi innovativi e il ruolo sociale delle imprese.
Questi temi in realtà hanno da subito fatto da filo conduttore delle due giornate e sono stati ribaditi come parole chiave per la costruzione di un nuovo modello di impresa già nel discorso di apertura del Presidente dei Giovani Industriali, Jacopo Morelli, il quale ha sottolineato con forza come, quando si smette di credere che chi lavora duro rispettando le regole e’ ricompensato da un maggior benessere e da un avvenire migliore per i propri figli, si creano i presupposti per un vuoto culturale il quale non può che creare divisioni sociali.
Prendo spunto da questo pensiero per fare mia una domanda che ha aperto l’intervento del Presidente della Camera Laura Boldrini: qual è l’obiettivo di un giovane imprenditore? Sicuramente realizzare profitto. Ma si può andare oltre? Si può essere ancora più ambiziosi e puntare ad incidere sul rinnovamento della società a partire dalla creazione di un modello di impresa che sia innovativa e soprattutto responsabile?
Così scuoteva la sala la Presidente Boldrini, e la risposta è non solo si può, ma anche si deve.
Si deve rimettere al centro delle imprese la responsabilità sociale e il dovere di creare valore sul territorio, anche traendo ispirazione dai modelli di quel recente passato imprenditoriale fatto di uomini illuminati, ancor prima che imprenditori, i quali avevano capito che la crescita di un’impresa non poteva essere misurata solo attraverso il profitto, ma anche dal progresso e il benessere che questo poteva generare nella comunità in cui l’impresa era inserita.
Quindi l’impresa come motore di sviluppo della collettività, e non come un’entità avulsa dal proprio territorio pronta a spostarsi li dove c’è maggiore convenienza o profitto, senza curarsi così di creare lacerazioni profonde in un sistema sociale fino a quel momento stabile. Un’impresa che non tenga conto di questo, ha un atteggiamento rapace se non addirittura parassitario con il proprio territorio.
Ma bisogna anche reinventare il ruolo dell’imprenditore, che deve essere capace di stare alla guida di un continuo processo di innovazione della propria impresa e protagonista della crescita della propria comunità, senza trasformarsi in una “rockstar televisiva”, impegnata in inutili convegni, sterili talk show o patetici reality in cui si creano manager in 10 puntate.
Andare oltre la logica delle startup come iniziative di singoli geni destinati ad emigrare nella Silicon Valley, ma tornare a diffondere una cultura di impresa attraverso cui creare una nuova generazione di imprenditori in grado di pensare globale, rimanendo però con il cuore e le radici in questo paese.
L’imprenditore non è l’impresa. L’imprenditore è l’ispiratore di un gruppo di uomini e di donne devono essere fortemente motivati per raggiungere un obiettivo, per creare valore, per fare la differenza.
Ed è per questo che dobbiamo andare oltre l’obiettivo di creare posti di lavoro, dobbiamo puntare a creare eccellenze che a loro volta, forti di questo imprinting, siano in grado di generare altre eccellenze in una crescita guidata da modelli virtuosi a cui le nuove generazioni dovranno ispirarsi.
Ma è chiaro che in tutto questo chi decide di fare impresa non può essere lasciato solo dalle istituzioni.
Ma qual è il ruolo dello Stato? Purtroppo in questo paese non è più chiaro da molto tempo.
Un paese ormai alienato il nostro, i cui governi sono stati in grado solo di consumare le risorse create negli anni passati, in cui si continua a spendere soldi pubblici in ammortizzatori sociali e scivoli che aiutino le risorse ad uscire da aziende attanagliate da una crisi sistemica, e non investendo nella creazione di rampe di lancio per nuovi modelli imprenditoriali in grado di far ripartire il paese.
In questi giorni istituzioni e parti sociali si affannano ad affermare che per tornare ai livelli precedenti di occupazione e benessere ci vorranno anni: quello che mi colpisce profondamente è che ci si concentri su come tornare ai livelli precedenti, non preoccupandosi di capire come creare nuovi modelli per progredire, e magari per andare oltre. Come non condividere le parole di Jacopo Morelli che dice “hanno svuotato il domani di speranza e colmato il presente di angoscia”.
Un governo di un paese come l’Italia, deve spezzare le catene di un provincialismo che non fa crescere, creando ad esempio quelle infrastrutture in grado di agevolare la cultura del think global, attraverso la creazione di canali che facilitino l’accreditamento internazionale delle imprese e ne agevolino gli investimenti, ad esempio, attraverso agevolazioni fiscali per quel fatturato generato dall’esportazione di prodotti e servizi realizzati in Italia.
Deve agevolare la capacita innovatrice del proprio tessuto imprenditoriale attraverso la defiscalizzazione almeno parziale degli investimenti in ricerca e sviluppo e dare una maggiore flessibilità nella gestione del personale, con iniziative che puntino ad incentivare maggiormente la formazione, perché si creino eccellenze prima che dipendenti e collaboratori.
Deve ridare speranza ai giovani e con loro al paese che dovranno ricostruire, anche attraverso incentivi che aiutino ad aprire la propria capacità di sguardo verso il Mondo, così da debellare una miopia internazionale che da sempre affligge la capacità imprenditoriale del nostro paese.
Ma per fare tutto questo partiamo da qualcosa di tanto rivoluzionario quanto semplice, smettiamola di farci dire che siamo un paese senza speranza.