Italia
Nei primi quattro mesi del 2013 la crisi ha colpito pesantemente il Global Digital Market, che ha registrato una contrazione di -7,5% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, essendo trascinato verso il basso dalle componenti tradizionali dell’Ict, con le Tlc calate del 9,4% principalmente per effetto della riduzione delle tariffe di terminazione e l’It attestata a -4,2%.
E’ quanto emerge dal 44° Rapporto Assinform sull’Informatica, le Telecomunicazioni e i Contenuti Multimediali, presentato oggi a Milano dal presidente Paolo Angelucci, coadiuvato dall’amministratore delegato di NetConsulting, Giancarlo Capitani, partner nell’elaborazione del Report.
Capitali ha illustrato situazione e trend dell’Italia digitale, analizzando il passaggio dall’ICT al Global Digital Market, che considera la convergenza tra IT e TLC.
Ciò che emerge, ha sottolineato Angelucci, “è un segnale fortemente negativo che, appesantito dai ritardi accumulati nel processo di attuazione dell’Agenda Digitale e dall’assenza di misure tese a favorire la ripresa degli investimenti in innovazione e a risolvere fattori fortemente penalizzanti per le imprese come il credit crunch, ci costringe a correggere in termini peggiorativi lo scenario più pessimistico che avevamo delineato all´inizio dell’anno, stimando che il Gdm chiuderà il 2013 a -4,2%, a cui l’It contribuirà con un trend di -5,8%, mentre le Tlc si fermeranno a -6,5%“.
Oltre ad Angelucci e Capitani, all’incontro hanno preso parte Domenico Casalino, Ad Consip, Alessandro Musumeci, direttore Sistemi Informativi Fs, Gianluca Pancaccini Cio Telecom Italia, Agostino Ragosa, direttore Agenzia per l’Italia digitale, Massimo Sarmi, presidente Comitato Tecnico di Confindustria per la diffusione dei servizi digitali evoluti, Mauro Viacava Cio Barilla Holding Spa.
Se a livello mondiale la spinta verso del Global Digital Market, che ha segnato + 5,2% nel 2012/11 e raggiunto un valore di 4.219 miliardi di dollari, sta trainando l´economia cresciuta del 3,5% nello stesso periodo, anche in Italia l’economia digitale presenta aspetti di notevole potenzialità e vivacità con trend allineati o superiori a quelli globali. Scomponendo, infatti, il Gdm italiano, che nel 2012 ha totalizzato un fatturato pari a 68.141 milioni di euro e registrato un tasso annuo di -1,8% (con il Pil nazionale a -2,4%), si rileva che le componenti innovative legate al web, che rappresentano il 21% del mercato, hanno registrato un incremento del 7,5%. Così, se nel mondo la vendita di smartphone è cresciuta del 41% e quella di Internet delle cose del 6%, in Italia i trend sono stati rispettivamente di + 62% e + 22%.
Per Agelucci, si tratta di performance eccellenti che tuttavia nelle condizioni attuali di arretratezza della Pa, di oggettiva difficoltà delle imprese e di mancanza di una strategia sistemica per lo sviluppo dell´innovazione, rimangono fattori isolati, non in grado di diventare, come altrove, volano della ripresa, né di incidere sul ritardo che il nostro paese sta accumulando con le principali economie.
Nel suo intervento, Capitani ha fornito alcuni dati che evidenziano il gap dell’Italia rispetto all’UE27. I dati sono impietosi. Da parte delle imprese, nel 2012, gli investimenti in tecnologie digitali sono diminuiti per le grandi aziende dell’1,7%, per le medie del 2,1% e per le piccole del 3%, mentre la percentuale di fatturato attraverso l’e-Commerce si è attestata al 6% a fronte di una media europea del 15%. In Italia le abitazioni con accesso a banda larga si fermano al 55%, mentre la media Ue27 è del 73%, gli individui che non hanno mai usato Internet rappresentano il 37% della popolazione, quelli che acquistano on line si fermano al 15% a fronte di medie europee rispettivamente del 22% e 35%, per l’utilizzo dell’e-banking siamo al 21% e per le interazioni on line con la Pa al 19%, mentre le medie Ue viaggiano sul 40% e 44% rispettivamente.
I tanti ritardi e digital divide italiani indicano chiaramente che per attivare il circolo virtuoso della crescita non ci si può affidare a provvedimenti spot, ma occorre un impegno a tutto campo puntando su Agenda Digitale, Economia Digitale e Politica Industriale per il settore It.
La realizzazione dell’Agenda digitale, sostengono Assinform e NetConsulting, va posta al centro del progetto di sviluppo del Paese al fine di creare le condizioni per la modernizzazione della Pa e delle sue transazioni con i cittadini e con le imprese.
“Avviare il processo di digitalizzazione è assolutamente urgente”, ha indicato Angelucci, evidenziando però che per questo occorre rafforzare la governance attraverso l’assunzione diretta di responsabilità nelle mani della Presidenza del Consiglio e l´istituzione di un efficace coordinamento con le Regioni.
E a riguardo proprio oggi, con un tweet, il premier Enrico Letta, ha annunciato “Ho chiesto a Francesco Caio di essere a Palazzo Chigi ‘mister agenda digitale’ del governo. Missione alla quale voglio dare massimo impulso”.
Tutti ricorderanno Caio che nel 2008 ebbe, dall’allora Ministro per le Comunicazioni Paolo Romani, l’incarico di guidare la task force che avrebbe prodotto uno studio sulle reti di nuova generazione (Leggi Articolo Key4biz). Il super-consulente aveva già effettuato la stessa analisi anche sul mercato britannico, sempre su mandato del governo. Quel Rapporto, però, in Italia fu lasciato nel fondo di un cassetto.
Tornando al Rapporto Assinform, si rileva che per lo sviluppo dell´economia digitale si ritengono prioritarie due misure: istituzione del ‘Bonus Cloud‘ sotto forma di credito d´imposta da utilizzare obbligatoriamente in applicazioni e nello sviluppo di nuovi processi aziendali; introduzione di una ‘Sabatini tecnologica‘ per agevolare la digitalizzazione delle imprese e gli investimenti anche immateriali. A sostegno del settore It va considerata l’opportunità di creare un plafond da destinare alle aziende d´informatica, finalizzato allo sviluppo di prodotti e soluzione innovative, eventualmente con un apposito Fondo di Garanzia. Allo stesso tempo, essendo l’It un settore ¨labour intensive¨, è fondamentale sviluppare politiche attive del lavoro, prevedendo stage di 12 mesi per l´introduzione in azienda anche di personale diplomato con passaggio automatico al regime di apprendistato.
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