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#nohatespeech, Stefano Rodotà: ‘Le regole ci sono, occorre farle rispettare’

Italia


Non bisogna arrivare alle parole dell’odio per far scattare l’allarme“, ha detto il giurista Stefano Rodotà, intervenendo al Convegno “Parole libere o parole d’odio? Prevenzione della violenza online” oggi alla Camera.

Un evento voluto fortemente dal presidente della Camera Laura Boldrini, anche lei vittima di violenza online (Leggi Articolo Key4biz).

“Non servono leggi speciali”, ha detto l’ex Garante Privacy, ricordando che in 15 anni di vita parlamentare ha tante volte assistito all’approvazione di norme penali anche severe, per assolvere alla coscienza politica.

“Ma non è così“, ha indicato Rodotà, spiegando che “se aggiungessimo nuove norme resterebbe il problema della loro applicabilità: abbiamo problemi a farle rispettare offline, figuriamo online. Bisogna, invece, rendere efficace il diritto“.

 

Rodotà ha poi lanciato una provocazione, Facebook ha cominciato a reagire contro gli hate speech solo perché alcuni brand hanno cominciato a ritirare le loro pubblicità dal social network o perché realmente diventato sensibile ai temi di queste campagne? Per il giurista “non bisogna trascurare la molla del mercato”. 

 

Altro passaggio importante messo in luce è quello fondamentale dell’anonimato che, come ha precisato, risale alle origini di internet, prima ancora che arrivasse il web 2.0

Molte aziende stanno insistendo sulle politiche di real name, perché ciascuno si prenda le responsabilità di quanto fa in rete.

Ma ci sono alcuni casi, ha osservato, in cui l’anonimato garantisce la sicurezza di chi denuncia e delle proprie famiglie, come per i dissidenti.

La rete è parte di un sistema di comunicazione, non ha sostituito gli altri. La Tv ha ancora oggi un ruolo centrale”.

La rete sicuramente, ha commentato l’ex Garante, ha la caratteristica dell’amplificazione. A volte ci troviamo di fronte a percorsi difficili e impraticabili.

Il punto capitale, ha detto Rodotà, è quello del rispetto dell’altro, della persona, e non è  solo un’affermazione ideologica.

“Oggi non c’è più la reciprocità ed è questo che bisogna perseguire con tutti gli strumenti della politica”, non solo con leggi, ma in ogni posto, a partire dalle scuole.

 

Toccante la testimonianza della madre di Carolina Picchio, la ragazzina di 14 anni che s’è tolta la vita nella notte tra il 4 e il 5 gennaio scorso.

Una ragazza che era stata pesantemente insultata sul web, come aveva detto ai genitori e come ha fatto in una serie di scritti. Sul caso sono state aperte due inchieste e indagati sei minorenni con accuse di una certa gravita come quelle di violenza di gruppo e istigazione al suicidio.

La procura di Novara sta anche indagando sull’eventuale coinvolgimento di Facebook perché non avrebbe effettuato gli opportuni controlli e non avrebbe rimosso, per lo meno tempestivamente, i video che riguardavano Carolina che erano stati pubblicati e fatti circolare sul social network.

L’avvocato della famiglia ha spiegato che il gesto di Carolina, com’è emerso dai suoi scritti, è stato determinato dalle “costanti azioni persecutorie subite sul web da parte di suoi amici/conoscenti”.

Scritti in cui si denuncia la pericolosità che certi social network possono rappresentare come strumento di divulgazione istantanea incontrollata e permanente di comunicazioni di contenuti costituente reato: ingiuria, diffamazione, minaccia…

“La battaglia – ha detto la madre della giovane ragazza scomparsa – non è imbavagliare il web, ma limitare la sua azione, tutelare i minori per evitare queste mostruosità e per evitare che l’anonimato possa garantire che si commettano altre barbare azioni come queste”.

 

Il padre di una ragazza romana, anche lei vittima del cyber bullismo, e per questo costretta ad andare in psicoterapia e a prendere farmaci, ha letto la lettera della figlia che chiede aiuto al ‘mondo degli adulti’, alle istituzioni.

La giovane invoca ‘i grandi’ a non lasciarli soli a combattere contro queste mostruosità e alla Boldrini “d’intervenire nelle scuole dove si creano i bulli del futuro prima che questa cultura si diffonda”.

Gabriella Battaini-Dragoni, Vice-Segretario generale del Consiglio d’Europa, ha presentato la campagna ‘No hate speech’, sottolineando come stia scomparendo in modo crescente “il civismo e il rispetto reciproco che sta avvelenando i rapporti umani nelle nostre società“.

Anche Bettaini-Dragoni s’è soffermata sulla questione dell’anonimato dietro il quale spesso si nascondano i colpevoli di reati contro la razza, la religione, l’orientamento sessuale, o le offese per l’aspetto fisico.

La libertà d’espressione è una pietra miliare della cultura democratica e si applica anche nel cyber-spazio, perché è linfa vitale della democrazia“, ma ha aggiunto “non può essere assoluta e incondizionata, perché comporta doveri e responsabilità”.

“Esiste una solida logica politica per il rispetto dell’ordinamento giuridico, per predisporre le sanzioni ma anche gli sforzi sostanziali nell’adottare misure preventive per educare, informare e combattere il discorso dell’odio”.

 

E’ essenziale il coinvolgimento dei giovani che sono quelli che usano maggioramene i new media: “Loro sono maggiormente consapevoli dell’odio su internet, vista l’affinità coi social media, la competenza e il tempo che passano a navigare. Ma sono anche le vittime più vulnerabile”.

Questa – ha concluso Gabriella Battaini-Dragoni – non è campagna contro libertà espressione, o contro i social media ma è per la dignità umana, per le vittime e per i diritti umani”.

Questa campagna, infatti, coinvolge proprio i giovani e le ONG che si occupano di queste tematiche, prevedendo corsi di formazione, workshop, seminari. Obiettivo, formare e informare sui pericoli della rete e sugli strumenti per reagire e contrastare queste violenze.

Si intende promuovere la cittadinanza democratica e l’alfabetizzazione informatica e andare verso l’autoregolamentazione e l’autocontrollo da parte degli utenti del web.

 

Il Ministro delle Pari Opportunità, Josefa Idem, ha presentato la campagna nazionale ‘No Hate Speech’ che in questa iniziativa ha coinvolto anche il Ministero dell’Istruzione, in modo da predisporre una serie di campagne anche nelle scuole italiane.

Vogliamo costruire, ha detto il Ministro Idem, “una governance innovativa di internet per tutelare diritti umani online”.

Rivolgendosi ai giovani ha detto: “Voi siete la generazione del net e dovete diventarne custodi”.

 

Raffaela Milano, Responsabile programmi Italia-Europa, Save the Children Italia, ha commentato: “Non bisogna demonizzare internet. Riteniamo che l’accesso alla rete sia diritto di ogni bambino e adolescente e siamo preoccupati che in Italia ci siano 314 mila ragazzi disconessi. Questo è un enorme divario culturale ed educativo”.

E’ invece necessario intervenire per cambiare il rapporto tra minori e new media, in modo che diventino “protagonisti loro stessi di un percorso di crescita educativa”.

La Milano ha anche sottolineato come nell’Agenda digitale, sia quella italiana che europea, manchi in riferimento a queste tematiche che anzi sono sottovalutate, quando invece bisognerebbe prestare più attenzione all’educazione dei ragazzi che in futuro saranno protagonisti della rete e lo devono essere col massimo della consapevolezza per la navigazione sicura e serena.

 

Elisabeth Linder, Politics and Government Specialist for Europe, Facebook, ha sottolineato l’importanza che la sua azienda dedica a queste tematiche, ma ha anche parlato delle difficoltà di un social network che, per numero d’iscritti, potrebbe essere il terzo Paese del mondo per numero di abitanti.

“Non è mai successo – ha sottolineato Linder – che ci fossero così tante persone connesse su un’unica piattaforma”. E’, quindi, difficile prendere decisioni che riguardano miliardi di persone ma, ha detto la manager, ci scambiamo decine e decine di mail prima di far qualcosa.

La nostra missione, ha commentato Linder è “rendere il mondo libero e connesso. Vogliamo rendere il mondo migliore e a tutti noi interessano i temi di cui oggi si discute“.

La donna ha ricordato le recenti decisioni prese dal gruppo che ha vietato i contenuti che incitano all’odio e adottato politiche di real name.

Ma, ha anche ribadito, occorre educare le persone sui propri diritti: “Solo così si usano i canali appropriati per esprimere le proprie opinioni”.

 

 

Giorgia Abeltino, Senior Policy Counsel, Google Italia, ha ricordato le parole di Rodotà, sostenendo che “ciò che è reato nel mondo offline lo è anche nel mondo online. Le regole ci sono e vanno rispettate”.

Bisogna, quindi, dotarsi degli strumenti che permettono di rispettarle e rendere più facile la tutela degli utenti internet.

 

Il secondo punto, ha poi aggiunto la Abeltino, è che “occorre focalizzare l’attenzione sulla consapevolezza e l’educazione al vivere in rete, che deve riguardare non solo i ragazzi ma tutti quelli che da sempre li hanno aiutato a entrare nel mondo degli adulti”.

Ha poi ricordato gli strumenti che Google, e in particolare YouTube, prevede per denunciare contenuti offensivi che incitano all’odio: se un utente conosce i propri diritti e strumenti, li utilizzerà.  

In questo senso la compagnia americana ha organizzato una serie di corsi, alcuni in collaborazione con la Polizia postale, per formare e informare i giovani e i meno giovani su queste tematiche.

 

Luca Sofri, direttore de Il Post e moderatore del dibattito, ha però lanciato una provocazione: “Sembra di voler svuotare il mare col secchiello”. Tutto ciò che avviene nel web è lo specchio di ciò che è la nostra società dove ci sono anche tanti politici che con l’hate speech hanno fatte le loro campagna di comunicazione.

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