Regno Unito
Si torna a parlare in Gran Bretagna dei furbetti del fisco, delle web company che usano una serie di scappatoie per sottrarsi al pagamento delle tasse nei Paesi dove distribuiscono servizi e dirottare i propri profitti nei paradisi fiscali.
Oggi Google e Amazon, già nel mirino delle autorità tributarie britanniche, e non solo, e della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’evasione fiscale, hanno ricevuto nuove accuse.
S’è parlato di “fumo e specchi”, per non pagare le imposte sulle vendite realizzate nel Regno Unito.
In particolare, Matt Brittin, vicepresidente di Google, oggi è stato accusato di non aver detto la verità alla Commissione parlamentare. Nella seduta dello scorso novembre aveva spiegato che l’azienda nel Regno Unito non vende servizi a clienti britannici e questo permette all’azienda di pagare tasse irrisorie nel Paese. La versione di Brittin è che in Europa la pubblicità venga tutta venduta e contabilizzata dalla sede irlandese di Dublino.
Versione che, come ha sottolineato oggi la presidente della Commissione, la laburista Margaret Hodge, si è rivelata falsa, in base a una serie di testimonianze e a un’inchiesta giornalistica. Hodge ha ricordato a Brittin che il suo comportamento potrebbe avere conseguenze molto gravi.
“Siete una compagnia che agisce in malafede e usa fumo e specchi per evitare di pagare le tasse“, ha detto la Hodge rivolta al vice residente.
“E’ tutto patetico e si deve agire per cambiare in fretta questo stato di cose”, ha commentato il deputato Labour, Nick Smith.
Anche Amazon non se la passa bene. La società di Jeff Bezos è stato criticata dai media britannici e da rappresentanti laburisti per aver pagato l’anno scorso tasse per 2,4 milioni di sterline a fronte di vendite in Gran Bretagna pari a 4,3 miliardi di sterline. Non solo, la compagnia americana ha ricevuto in contributi e agevolazioni fiscali una somma di 2,5 milioni di sterline. (R.N.)