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Agenzia digitale bloccata. Anzi no. I nemici dell’Agenda digitale rischiano di prevalere sull’interesse del Paese

Italia


Non c’è pace per l’Agenda digitale (varata per legge) e sembra prevalere un futuro incerto per l’Italia digitale (che vorremmo).

La notizia di giornata è che il governo aveva ritirato lo Statuto faticosamente redatto dal direttore dell’Agenzia per l’Italia digitale, Agostino Ragosa. Ma dopo poche ore arriva una smentita. Tutto infondato. Si va avanti.

Originariamente la circostanza sarebbe stata motivata dal timore che la Corte dei Conti avrebbe potuto fare qualche rilievo significativo a proposito delle assunzioni previste per avviare le operatività. Il direttore generale dell’Agenzia, è stato detto, ha previsto un numero elevato di assunzioni, senza considerare adeguatamente la disponibilità di risorse già esistenti.

Il problema vero è che una struttura che eredita altre strutture, in cui parte del personale ha spesso padrini politici ed è molto più sensibile a questo o quello schieramento politico, piuttosto che alla line gerarchica interna. Anche questo potrebbe spiegare l’inserimento di dirigenti di fiducia ed esperti nelle aree di sviluppo previste dalle operatività scelti direttamente dal direttore.

Comunque si guardi al problema, quanto accaduto testimonia ulteriormente i caratteri di un percorso già di suo accidentato e rallentato.

 

E cosi si ritorna a parlare di Agenda digitale ancora una volta per le cose che non si fanno o che si inceppano, piuttosto che di azioni concrete, di obiettivi da raggiungere, di competenze da srotolare.

L’argomento “Agenda digitale”, diciamocelo francamente, rischia di diventare stantio è assume un carattere talmente ideologizzato da far percepire come fumosi molti dei suoi significati. Se ne parla da troppo tempo e quel poco che si fa concretamente subisce stop-and-go tali da nutrire seri dubbi sul fatto che si possa mantenere un passo di marcia adeguato alle esigenze.

 

Il caso di oggi lo testimonia ulteriormente.

 

L’Agenda digitale, come è noto è parte significativa del provvedimento Crescita 2.0 adottato dal precedente governo nello scorso mese di ottobre. Già all’epoca, quel risultato fu molto sofferto per una serie di ragioni concomitanti, ma essenzialmente legate a due aspetti: la scelta del direttore generale e la frammentazione di competenze tra troppi ministeri (una sana tradizione che consente di interdire in qualunque momento qualsiasi processo), che va interpretata come frutto della litigiosità o anche come ricorso italico alla modalità che meglio assicura che non succeda nulla.

La scelta del direttore fu di per sé un passaggio molto conflittuale, sulla quale si scontrarono più ministri. Alla fine prevalse il nome di Agostino Ragosa e fu un bene. Perché si tratta di un manager di lungo corso, forse uno dei pochi, che può gestire bene una macchina così complessa e insidiosa.

 

Il problema è che per fare l’Italia digitale occorre avere la volontà di modernizzazione del Paese e su questo, sembra evidente, non si riscontrano interessi univoci e volontà politiche chiare.

Il guaio dell’Italia di oggi è, come è noto, il fatto di aver gonfiato il debito pubblico oltre misura e questo fa sì che l’intervento pubblico sia sempre stato nel nostro Paese la molla di sviluppo e di crescita economica.

Tutte o quasi le risorse economiche della nostra ricchezza nazionale provengono dal pubblico (per le aziende private il cliente numero uno è sempre il pubblico) e in alcuni casi godono delle inefficienze del sistema che consentono una gestione a dir poco allegra di molti finanziamenti.

Esistono pertanto sacche significative del mondo politico italiano e finanziario italiano che vedono come il diavolo la possibilità di poter avere velocità, trasparenza ed efficienza nei procedimenti della Pubblica Amministrazione. Risorse spese bene sono un pericolo per molti degli interessi in campo.

 

Di questo si nutre anche la criminalità organizzata, che è cresciuta e si è sviluppata proprio grazie ai finanziamenti pubblici (grandi opere, fondi europei, urbanizzazione selvaggia ecc.).

E’ una immensa forza di interdizione che controlla millimetricamente i territori in almeno 4-5 regioni italiane e ha le mani su tutte le assemblee elettive di rango municipale, provinciale e regionale.

 

E’ un’immensa forza che prima si faceva rappresentare dal mondo politico e che oggi gode di rappresentanza diretta.

 

Può darsi che lo stop-and-go odierno sia solo da ricondurre a timori formali.

 

Può darsi che quanto avvenuto incontri i favori magari di chi sta lavorando per un semplice avvicendamento della direzione dell’Agenzia per l’Italia digitale e nasconda uno scontro che nei mesi passati ha continuato a covare sotto cenere.

A mio parere le ragioni sono molto più profonde e vengono da lontano.

Indipendentemente dalle notizie contrastanti di oggi.

Difficile che l’Italia diventi un Paese digitale se non si avrà il coraggio di tagliare i legami (che non sono lacci e lacciuoli, ma funi spesse) con i nemici dell’Agenda digitale, che sono potenti, controllano i territori in pezzi importanti d’Italia, godono dell’accondiscendenza di settori della politica che conta e dei poteri forti che governano realmente. 

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