Italia
Prosegue l’accelerazione del titolo di Telecom Italia, che mette a segno un rialzo del 3,7% a quota 0,63 euro, sulla scia della conferma, arrivata ieri dal Cda, del prosieguo delle trattative per l’integrazione con 3 Italia.
Trattative che saranno gestite dal presidente esecutivo Franco Bernabè affiancato da un comitato ristretto composto da Luigi Zingales, Elio Catania, Gabriele Galateri e Julio Linares.
Il comitato dovrà valutare la se ci sono i presupposti per proseguire le trattative nonché la congruità economica dell’offerta del conglomerato Hutchison Whampoa, che ancora non è stata esposta nei dettagli: quel che è certo è che H3G vuole diventare azionista di riferimento di Telecom Italia. Solo a questa condizione verrà infatti disposto il conferimento di 3 Italia, il più piccolo operatore mobile italiano, con circa 9,6 milioni di clienti.
Solo quando il gruppo di Li Ka-Shing metterà nero sul bianco la sua offerta si potrà capire se l’accordo potrà andare in porto o se finirà con un nulla di fatto come in passato. Più volte, infatti, negli ultimi anni, il tycoon di Hong Kong aveva tentato un avvicinamento, puntualmente respinto così come erano stati respinti prima di lui Carlos Slim e Naguib Sawiris.
Diversi, comunque, i nodi da sciogliere. Primo fra tutti, la freddezza del socio spagnolo Telefonica: secondo quanto riferito dalla stampa, ieri in Consiglio Julio Linares avrebbe criticato l’andamento dell’azienda e ricordato il proprio diritto di prelazione nel caso in cui i soci italiani della holding Telco (Mediobanca, Intesa Sanpaolo e Generali) decidessero di vendere le loro quote.
Ci sono inoltre da valutare i fattori industriali e di governance e stabilire il reale valore di 3, valutata circa 2-2,5 miliardi, ma che in 10 anni di attività non ha ancora chiuso un bilancio in utile.
I soci italiani, pur manifestando una certa insoddisfazione per i risultati e le strategie del gruppo telefonico, non sembrano convinti della validità dell’operazione. Certo, chiedono un cambiamento di rotta, ma è difficile pensare che, rispetto alle precedenti offerte di Hutchison Whampoa o alla proposta presentata lo scorso anno da Naguib Sawiris (un aumento di capitale riservato da 3 miliardi), qualcosa sia cambiato.
Per non parlare dei piccoli soci: nei giorni scorsi, Marco Fossati – che attraverso Findim controlla circa il 5% di Telecom – aveva bollato l’operazione come pura ‘tattica’, mentre l’associazione Asati parla di ‘provocazione’, riferendosi alla condizione, posta da Hutchison Whampoa, di diventare socio di riferimento senza lanciare un’OPA.
Paolo Gentiloni, responsabile ICT del Partito Democratico, intanto ha chiesto al premier Mario Monti e al ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera di riferire urgentemente in Parlamento sui negoziati in corso tra H3G e Telecom Italia, la principale società italiana di telecomunicazioni, nonchè l’unica a battere ancora bandiera tricolore – dopo il passaggio di Omnitel a Vodafone, di Wind prima agli egiziani di Orascom poi ai russi di Vimpelcom, di Fastweb agli svizzeri di Swisscom e di 3 Italia ai cinesi di Hutchison Whampoa.
Telecom Italia, “oltre ad essere la principale impresa italiana di telecomunicazioni, possiede anche la nostra infrastruttura di rete e l’accesso all’immenso patrimonio di dati che contiene” spiega Gentiloni. “Se Telecom finisse sotto il controllo del gruppo cinese – prosegue – si tratterebbe di un fatto senza precedenti tra i grandi incumbent dei Paesi europei. Un fatto carico di ovvie implicazioni strategiche per l’Italia, oltre che di ripercussioni per tutto l’indotto del settore”.
“Al di là di ogni pregiudizio di merito e, a prescindere dal tema controverso della Golden Share, ritengo doveroso – conclude Gentiloni – informare al più presto il Parlamento sulla situazione”.
Sulla stessa linea il parere di Michele Azzola, segretario nazionale Slc-Cgil, secondo cui “…se il progetto del Cda di Telecom Italia è quello di scorporare la rete e vendere il resto ai cinesi di Hutchison Whampoa è un progetto folle perché consegna il settore delle Tlc italiane in mani straniere, con effetti nefasti sulla competitività del paese, che perderebbe così un grande gestore di Tlc.”
Sull’opportunità dell’operazione restano scettici anche alcuni analisti. Per UBS, “la visibilità sulla strategia del gruppo e sul potenziale esito delle negoziazioni in corso rimane molto bassa”.
“I flussi di cassa di Telecom Italia – spiegano – potrebbero peggiorare nei due anni immediatamente successivi all’eventuale fusione visto che 3Italia brucia cassa. E poi bisogna tener conto dei costi di ristrutturazione, pari a 500 milioni di euro”.
Perplessità a cui si sommano quelle degli analisti di Cheuvreux, secondo i quali i rischi superano le opportunità: la valutazione di 3 Italia superiore ai 2 miliardi di euro implica un multiplo enterprise value/ebitda di circa 7 contro i 4 di Telecom Italia. Il deal quindi sarebbe diluitivo per la società italiana e difficilmente i soci sarebbero favorevoli.
Di parere opposto, invece, gli analisti di Equita, che sottolineano i vantaggi legati alla semplificazione dell’arena competitiva, al miglioramento della generazione di cassa, al rafforzamento dell’azionariato.
“Questi elementi – spiegano – spezzerebbero la spirale che suggerisce da tempo il rischio di un aumento di capitale e quindi multipli di 3,4 volte l’ebitda o circa 5,6 volte gli utili”.
Secondo gli analisti di Kepler, quindi, quella con 3 è “una questione cruciale per il gruppo”, visto che Telco non può supportare lo sviluppo industriale di lungo termine.
“Pensiamo – dicono – che la separazione della rete e la cessione di attività commerciali a Hutchison Whampoa abbiano un senso, mentre un aumento di capitale è improbabile poiché non è supportato da Telco e dagli investitori istituzionali”.
Una matassa difficile da sbrogliare, dunque, alla quale si aggiunge anche l’altro tema ieri in Consiglio, quello dello scorporo della rete: il board ha dato mandato al management a definire il percorso operativo di fattibilità per la separazione della rete di accesso. Un’accelerazione che poterebbe far pensare che in effetti, ci sarebbero i presupposti per l’ingresso di un socio cinese: lo spin-off permetterebbe infatti di riportare la rete – infrastruttura strategica – in mano pubblica (tramite la CDP) sottraendola all’eventuale perimetro di controllo del nuovo partner.
Si tratta tuttavia solo di ipotesi, che al momento quanto meno stanno facendo bene al titolo, che nelle scorse settimane ha toccato i minimi storici. Della fattibilità dell’operazione si occuperanno i ‘saggi’ che dovrebbero completare il loro lavoro di valutazione nel giro di un paio di settimane. Se l’operazione andasse in porto, sarebbe comunque lo smacco definitivo per le tlc ‘italiane’: il nostro paese, infatti, finirebbe per non avere più neanche un operatore nazionale.