Italia
Un minimo comune denominatore fra tutti gli interventi di riflessione che si sono succeduti sul medium – tuttora – preferito dagli italiani può essere individuato nella multidimensionalità che caratterizza oggi il media televisivo, il cui stesso perimetro non è più di immediata definizione. Fino a pochi anni fa la tv era mono-dimensionale: era la tv analogica-herziana (e quindi la concorrenza rilevava solamente intra-piattaforma), fruita attraverso un device unico (il televisore, appunto) e declinata per canali/programmi (modello lineare), offerta da soggetti integrati verticalmente (reti e servizi)… ora non è più così: la spinta della tecnologia ha modificato il contesto di produzione e fruizione dei contenuti e continua a modificarlo, senza soluzione di continuità.
La complessità crescente dei media di oggi (nuove piattaforme, nuove forme di contenuti, nuovi operatori, nuovi fruitori) rende ancora più difficile la conciliazione tra i due obiettivi sottintesi alla regolazione dei media:
- la concorrenza (a livello “industria/impresa”)
- i diritti (a livello “cittadini/utenti finali”)
– obiettivi diversi, a volte complementari, a volte contrastanti. E la molteplicità delle relazioni tra elementi (segmenti? mercati?) della Domanda e dell’Offerta rende l’azione del regolatore più difficile ed esposta al rischio di errore, proprio perché di natura prospettica.
Questa difficile conciliazione interessa, infatti, in particolar modo l’Autorità che rappresento. Mentre l’Autorità antitrust (che oggi ci ospita) può “permettersi” di effettuare una valutazione incardinata sulla prevalenza di un valore dominante – quale la concorrenza – AGCOM ha una vita assai più complicata: la concorrenza è uno strumento per il raggiungimento del pluralismo dei mezzi di comunicazione. Per riprendere una categoria giuridica – da giurista quale non sono – nell’attività dell’AGCOM la concorrenza è “bene giuridico che da primario diventa strumentale al perseguimento ed alla garanzia di un altro bene costituzionalmente garantito, il pluralismo nel sistema radiotelevisivo“[1]. Ciò perché non sempre l’utilizzo delle regole antitrust può ritenersi sufficiente a realizzare l’obiettivo del pluralismo.
Alcuni esempi in questo senso sono dedotti dall’ordinamento normativo vigente, rappresentato dal Testo Unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici (TUSMAR):
- i limiti ai ricavi relativi al Sistema integrato delle Comunicazioni (SIC) sono difficilmente giustificabili alla luce del puro diritto antitrust;
- i cd tetti antitrust si applicano anche alle ipotesi di crescita interna di un’impresa.
L’esigenza di proteggere il pluralismo appare quindi ciò che ha spinto il legislatore a dettare una disciplina di settore che si affianca a quella generale della legge 287/90 e che consiste in una tutela che si intende “rafforzata” rispetto a quella tipica del diritto della concorrenza. Basti a tal riguardo rilevare che l’art. 43 vieta non l’abuso di posizione dominante, ma la posizione dominante tout court.
Lungo traiettorie che non per forza devono essere coincidenti, il rapporto tra tutela della concorrenza e tutela del pluralismo diviene concreto proprio a partire dall’attività di definizione dei mercati; guarda caso proprio il tema oggetto del convegno.
Condividiamo, tra piazza Verdi e via Isonzo – almeno – la teoria economica alla base dell’analisi. I mezzi di comunicazione di massa in generale, Internet inclusa, possono essere infatti inquadrati nell’ambito della teoria dei mercati a due versanti (o a più versanti), un framework di analisi che, nel tempo, si è rivelato solido e generale. Quello che rileva è proprio il concetto di “two-sided market” riconducibile ad un “incontro” fra due gruppi interdipendenti di utenti, ovviamente con l’accortezza di considerare il termine “mercato” in senso non per forza coincidente con il concetto di mercato rilevante proprio della terminologia antitrust. In questo senso, il termine “piattaforma” è più funzionale all’attività regolamentare.
Dal punto di vista delle metodologie volte alla tutela del pluralismo, l’analisi dei mercati delle comunicazioni sposta inevitabilmente l’accento sul versante dei consumatori / cittadini e sul loro accesso ed uso dei mezzi di comunicazione di massa. In questo senso, il versante pubblicitario è visto in un’ottica di risorse complessive attivabili del mezzo, sebbene l’analisi, dalla nostra visuale, riguarda non solo la sostituibilità tra attività lungo tutta la catena del valore, ma, in ultima analisi, la sostituibilità dei mezzi tra i consumatori per accedere ai contenuti (sostituibilità che, peraltro, è da leggersi nell’ottica della complementarietà e non dell’esclusione).
E’ lo stesso art. 43 del TU che, oltre ad elementi tipici delle metodologie antitrust [ricavi, livello di concorrenza, barriere all’ingresso, dimensioni di efficienza economica delle imprese], considera le audience dei media [ossia gli indici quantitativi di diffusione dei vari mezzi e delle singole imprese] tra i criteri di valutazione nell’ambito dell’analisi volta all’individuazione dei mercati rilevanti e della relativa valutazione delle eventuali posizioni dominanti. Un corredo metodologico che completa, ai fini della tutela del pluralismo, la strumentazione antitrust.
L’ultimo intervento da parte dell’AGCOM in materia di identificazione dei mercati rilevanti del SIC – questa è sempre la nostra cornice di riferimento – risale al 2010 (Delibera 555/10/CONS) e corrispondeva ad una fotografia in transizione del sistema informativo nazionale. I mercati rilevanti erano stati individuati in:
- televisione in chiaro;
- televisione a pagamento;
- radio;
- quotidiani;
- periodici.
La tv era ancora il veicolo di gran lunga prevalente per l’informazione: copriva quasi il 90% delle persone che si informavano attivamente in Italia; poi venivano i quotidiani col 61%. Internet seguiva con il 20% (rilevazioni dei primi mesi del 2010). Nulla a che vedere con gli Stati Uniti, ma neppure un fenomeno solo di nicchia[2].
A ben vedere, nelle nostre analisi, il mondo Internet è stato per certi aspetti un convitato di pietra:
i) ne abbiamo tenuto conto per la prima volta nell’analisi relativa al pluralismo informativo,
ii) ma non abbiamo quantificato completamente il fenomeno nella valorizzazione del SIC, e,
iii) come mercato rilevante in quanto tale, è stato inserito solo nell’editoria.
Infatti, nella formulazione del Testo unico vigente al momento dell’ultima analisi dei mercati rientrava la mera editoria elettronica, che rappresenta solo un segmento di un più ampio mercato riconducibile ad Internet, nella sua parte finale – e principale – di fruizione di contenuti e servizi.
Già nel 2010 AGCOM evidenziava dunque come Internet rappresentasse “non solo un ambito economico al momento unitario, ma anche il terzo mezzo di informazione per i cittadini italiani, con un’assoluta valenza ai fini del pluralismo, sia attuale che, ancor più, prospettica” (Delibera 555/10/CONS). In questo senso, si suggeriva al Legislatore di ridefinire le aree economiche rilevanti ai fini di un’analisi a tutela del pluralismo più conforme alle evidenze. La dimensione economica, infatti, è preliminare all’individuazione dei mercati rilevanti ed essenziale ad una valutazione delle forze competitive in gioco.
Detto, fatto. La legge 16 luglio 2012 n.103 ha incluso nella valorizzazione del Sic – a partire dal 2012 – tutte le aree economiche riconducibili ad internet (pubblicità online, comprensiva del search, dei social network nonché di quella operata attraverso dispositivi mobili). Il prossimo anno, più o meno in questo periodo, avremo la prima fotografia completa delle risorse economiche sviluppate dal sistema delle comunicazioni in Italia nel suo complesso – incluso Google e dintorni: soggetti che da qualche tempo sono diventati delle superstar antitrust, molto più del sempreverde Microsoft.
La valorizzazione del Sic e delle sue aree [3] assume una valenza di preliminare importanza perché l’attrattività del mezzo (e dunque di un operatore) nella diffusione delle informazioni – quindi la sua rilevanza in termini di contributo al pluralismo – dipende anche dalle caratteristiche specifiche del mezzo, tra cui le risorse disponibili e destinabili dagli operatori ad attrarre l’attenzione dei cittadini.
Qualche parola sull’ultima valorizzazione del SIC, relativa al 2011 e da poco conclusa. Non certo uno stato di forma invidiabile del settore. Nel 2011, il valore complessivo del Sistema Integrato delle Comunicazioni ha superato di poco i 20 miliardi di euro, rispetto ai 21 miliardi di euro circa raggiunti nell’anno 2010. Ciò equivale ad un decremento annuo pari al 3,7%, andamento negativo ancora più marcato di quello fatto registrare, nel 2011, dall’intera economia nazionale. Vero è che si tratta ancora di una valutazione “parziale” del mondo Internet, quello che più sta crescendo (nella nostra quantificazione abbiamo creato il contenitore “Internet” che si riempirà però definitivamente solo il prossimo anno).
L’area radiotelevisiva rappresenta, con il 47,8% (pari a circa 9,7 miliardi di euro), l’ambito con la maggiore incidenza sul totale delle risorse economiche. E tutto sommato “tiene” rispetto all’anno precedente. Segue la stampa, quotidiana e periodica, con il 30,7%, pari a circa 6,2 miliardi di euro (in calo del 2,6% rispetto all’anno prima; un calo costante che con il passare degli anni assomiglia ad un’emorragia).
Al di là del perimetro disegnato dal dato normativo queste aree sono interessate da un radicale percorso di profondo cambiamento che ne ridisegna i confini. Un esercizio utile di definizione dei mercati dei media che sia utile corrisponde alla ricerca di una risposta all’interrogativo di “cosa sia la televisione, oggi”. E quindi, quale il suo confine con la rete Internet e cosa sta cambiando nella catena del valore e nelle modalità di fruizione. Le difficoltà in questa ricerca – sia dal punto di vista concorrenziale che del pluralismo – sono state ulteriormente sottolineate nella recentissima sessione dedicata dell’ultimo Global Forum on Competition dell’OCSE dello scorso 1 marzo [4].
Quello che rileva, infatti, non è solo l’offerta tecnologica ma anche il suo utilizzo reale. Detto in altri termini, rileva la convergenza tecnologica che diviene convergenza di mercato, con una chiara influenza sia sui modelli di offerta che su quelli di domanda). In Italia la fruizione (la domanda) segue per ora con un po’ di distanza l’offerta perché scontiamo frizioni legate all’anagrafe, alla cultura digitale, alla diffusione degli accessi a banda larga e ultra larga. Questo fenomeno opera solo come un rallentamento, oppure è una barriera insormontabile in una prospettiva di 3-5 anni che è tipica dell’analisi regolamentare? Il regolatore, comunque, deve attrezzarsi per tempo, in termini di prospettive e strumenti, senza avere la sola tv tradizionale nel mirino.
In linea di principio, la convergenza rende possibile una concorrenza tra piattaforme, tanto più significativa se il multi-homing (ossia l’utilizzo di più piattaforme da parte di uno o entrambi i versanti del mercato: consumatori ma anche inserzionisti) ha bassi costi. Altrimenti la convergenza da sé non produce una reale concorrenza ma tende alla concentrazione (la struttura del mercato guarda caso tipica delle tv analogica).
L’insuccesso dell’Iptv in Italia è un esempio. Ciò solleva il tema, fra gli altri, dell’importanza di un mercato Europeo unico per i contenuti, mentre esso è ancora frammentato per le regole sui diritti televisivi; ciò riduce la possibilità di raggiungere adeguate scale di distribuzione. Ancora: un freno concorrenziale, oltre alla esclusività dei diritti, è la diffusione di tecnologie proprietarie che limitano la fruizione multipiattaforma (i cosiddetti “walled gardens”).
La convergenza regolamentare invece è ancora di là da venire. Un framework regolamentare unico che includa il più possibile degli aspetti regolamentati in ottica convergente è inevitabilmente un traguardo che viene dopo gli assestamenti del mercato. Ma un regolatore convergente – qual è AGCOM dalla nascita, in anticipo sul mainstream regolamentare – può essere efficace in un contesto di regolamentazione non ancora convergente?
Da una parte abbiamo il package comunitario sulle comunicazioni elettroniche (reti e piattaforme), dall’altra la Direttiva SMAV (i contenuti media) ma anche la direttiva sul commercio elettronico (ovvero il mondo Internet, i provider, il diritto d’autore). Tre pezzi che penso rimarranno disgiunti ancora per un po’ nonostante un fervente interesse scientifico e culturale al riguardo. I tempi delle riflessioni importanti a Bruxelles sono giustamente ponderati. Strumenti e metriche per quanto riguarda reti e contenuti rimangono dunque nettamente separati e più o meno necessitati di mantenimento / ammo-dernamento. Pensiamo agli obblighi diversi cui sono soggetti operatori come Telecom Italia, Mediaset e Google, giusto per fare un esempio.
Questo disallineamento integra un’ulteriore difficoltà di intervento per il regolatore, perché i mercati nel frattempo corrono e il bisogno di regolamentazione nei media (e di aggiornamento della stessa) non cala (al massimo si redistribuisce tra area della concorrenza e area dei diritti; un tema di grande attualità per i regolatori, la cui trattazione però oggi ci porterebbe troppo lontano).
Dunque se la multidimensionalità – fattor comune degli interventi di oggi – richiama la complessità, la complessità implica mancanza di informazioni e incertezza: per il mercato, per gli investitori, per gli utenti… e a maggior ragione anche per il regolatore, che – e non è un paradosso – ha tra i suoi obiettivi proprio quello di ridurre l’incertezza sul mercato.
Ci troviamo dunque ad operare in un contesto di inevitabile “mancanza di conoscenza” e di “incertezza”. Con un curioso vincolo di azione: quanto più nelle nostre decisioni tendiamo ad anticipare le dinamiche della convergenza tanto più corriamo il rischio di condizionarla con un intervento non neutrale; quanto più invece siamo ancorati ad una visione classica del mondo della televisione tanto più rischiamo di non cogliere appieno il portato concorrenziale e pluralista della convergenza in atto e di distorcerne le dinamiche.
Consci delle difficili prove che ci attendono, ci stiamo muovendo lungo due percorsi paralleli, favorendo – per quanto nel nostro potere – le condizioni di competizione infrastrutturale infra-piattaforma (politica dello spettro) e inter-piattaforma (promozione dello sviluppo delle reti di nuova generazione) monitorando i mercati della filiera media e investendo sulla crescita del bagaglio generale di conoscenza e di strumentazione.
Al primo tipo di intervento è riconducibile, ad esempio, il bilanciamento nella destinazione dello spettro al broadcasting e alla banda larga mobile che contraddistingue la posizione dell’AGCOM nell’assegnazione delle frequenze disponibili in banda televisiva per sistemi di radiodiffusione digitale terrestre. Ovvero, la famosa gara per le frequenze televisive che è in via di definizione dopo un’importante interlocuzione – sebbene complessa – con Bruxelles. Ma su questa linea si collocano anche gli interventi regolamentari che questo Consiglio sta mettendo a fuoco per promuovere investimenti e diffusione delle nuove reti in fibra ottica (diversi sono attualmente in consultazione pubblica).
Nel secondo tipo di intervento, il filone di empowerment conoscitivo, rilevano le indagini conoscitive, che consentono un proficuo scambio con gli attori e gli studiosi dei mercati interessati ed un confronto con le autorità gemelle a livello internazionale. Ne ricordo tre.
In primo luogo, quella appena conclusa sul settore della raccolta pubblicitaria (Delibera 551/12/CONS) che, dal punto di vista concorrenziale, ha messo in evidenza l’esistenza di fallimenti del mercato nazionale dei servizi di intermediazione pubblicitaria legati sia agli assetti competitivi, sia alla struttura delle relazioni negoziali. In particolare, è emerso un elevato e crescente livello di concentrazione in cui si inserisce un sistema di relazioni triangolari tra inserzionisti, centri media e broadcaster che non favorisce l’efficienza del funzionamento del mercato; anzi appare suscettibile di produrre effetti restrittivi. Un corollario importante dell’indagine è l’istituzione di un osservatorio annuale sulla Pubblicità, ricco di informazioni quantitative, la cui prima edizione è da poco stata resa pubblica sul nostro sito.
Ma ci sono anche due recenti iniziative dell’AGCOM che riguardano l’avvio di due indagini conoscitive mirate.
Una concerne il settore dei servizi internet e sulla pubblicità online: l’indagine è volta ad approfondire le dinamiche di mercato in entrambi i versanti del settore, la struttura dell’intera filiera produttiva, i modelli economici e finanziari sottostanti le nuove piattaforme digitali, nonché le eventuali criticità nella struttura concorrenziale (Delibera 39/13/CONS). Riteniamo che un approfondimento conoscitivo dei servizi innovativi diffusi attraverso il web, fra cui la vendita di pubblicità on line, sia essenziale per acquisire elementi informativi utili ad una futura valutazione rigorosa e puntuale della consistenza e dinamica delle dimensioni degli stessi.
In parallelo stiamo svolgendo anche un’analisi sulla connected tv (Delibera 93/13/CONS), che ha un taglio inevitabilmente “in verticale” sul media televisivo. Analizza infatti la modalità di diffusione dei contenuti attraverso reti con protocollo IP che vedono lo sviluppo di nuovi servizi convergenti offerti da operatori del settore delle comunicazioni prima storicamente separati. In questo caso il focus sarà sulle imprese del web che interagiscono riconfigurando l’offerta dei contenuti, le modalità di consumo da parte dell’utenza, i diversi modelli di business adottati dalle imprese. Il passaggio al controllo della pubblicità e dei contenuti, è immediato.
Sono solo primi esempi di attività del nuovo Consiglio Agcom; ma sottolineano quanto crediamo, in definitiva, che un regolatore convergente possa essere efficace nella sua azione anche senza una regolamentazione pienamente convergente se investe sulla conoscenza dei mercati e cerca di coglierne le tendenze su basi solide. A volte ci riuscirà, a volte meno. E’ il costo ineliminabile della regolazione ex ante in un contesto di incertezza.
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[1] Cfr. A. FRIGNANI, E. PODDIGHE, V. ZENO-ZENCOVICH (a cura di), La televisione digitale: temi e problemi. Commento al d. lgs 177/05 T.U. della Radiotelevisione, 2006, p. 258.
[2] Rispetto all’editoria quotidiana, Internet, per la sua connotazione di media globale, presenta un dato di specializzazione esattamente opposto: è una fonte rilevante per l’attualità internazionale e nazionale, meno per quella locale.
[3] Compito cui AGCOM adempie ogni anno per obbligo di legge.
[4] OECD Global Forum on Competition, Session II. Competition Issues in Television and Broadcasting (1 March 2013, Paris) – http://www.oecd.org/competition/globalforum/programmeanddocuments.htm#S2.