Unione Europea
Un nuovo studio realizzato dal Joint Research Centre della Commissione Ue ha analizzato il rapporto tra consumo digitale di musica illegale e legale, per stimare le conseguenze della pirateria sull’industria discografica europea.
Il Rapporto ‘Digital Music Consumption on the Internet: Evidence from Clickstream Data’, realizzato da Luis Aguiar e Bertin Martens, si basa sui dati raccolti nel 2011 su un panel di 16.290 utenti in Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Spagna, vale a dire i cinque mercati più importanti d’Europa per la musica. Durante l’anno sono state analizzate le visite a 2759 siti musicali. Tra questi, non sono state considerate piattaforme come Amazon o quelle che offrono servizi p2p, perché è difficile stimare l’acquisto reale di musica in quanto su questi siti sono disponibili anche altri prodotti. Lo Studio non comprende gli acquisti, il downloading o lo streaming, ma si basa sulle intenzioni d’acquisto. Nell’analisi non vengono misurati neanche gli acquisti mobili su iTunes Store e Google Play.
Dai dati raccolti emerge che il 57% circa degli utenti intervistati ha visitato almeno una volta un sito di downloading legale durante il 2011. Più della metà è andata su un sito di streaming legale e quasi il 73% (almeno una volta) su uno pirata.
Da ciò, gli autori traggono la conclusione che downloading legale e illegale non sono in concorrenza diretta.
Gli utenti fanno la spola tra siti pirata e legali e questo, indicano sempre gli autori, non ha conseguenze negative sugli acquisti.
Gli autori vogliono dimostrare che “il downloading illegale ha pochi o nessun effetto sulle vendite legali“. Tuttavia molti Rapporti hanno invece mostrato il contrario.
“Anche se c’è violazione del diritto d’autore – dicono gli autori – ci sono poche possibilità che le entrate della musica digitale possano soffrirne (…) da questo punto di vista, le nostre conclusioni suggeriscono che la pirateria non deve essere considerato come un grande problema per i titolari dei diritti del mondo dematerializzato. In più, i nostri risultati indicano che i nuovi canali di consumo musicale come lo streaming online hanno un impatto positivo”, per i titolari dei copyright.
In altre parole, i ricercatori ritengono che “la maggioranza della musica consumata illegalmente dagli individui compresi nel campione non sarebbe stata acquistata legalmente se non fossero risultati disponibili siti che consentono il download non autorizzato. Se a questa valutazione viene data un’interpretazione causale, ciò significa che i click sulle piattaforme che consentono acquisti legali sarebbero stati inferiori del 2% in assenza dei siti di download illegali”.
Il Rapporto arriverebbe alla conclusione che la pirateria non impatta sulle vendite di musica legale in formato digitale e l’industria non ne riceverebbe un gran danno.
C’è da crederci? E tutti i bei discorsi fatti finora dal Commissario Ue per la Digital Agenda Neelie Kroes contro la pirateria digitale e il rispetto del copyright?
L’IFPI, che rappresenta l’industria discografica, non è d’accordo con le conclusioni dello Studio e lo definisce “errato e fuorviante“: “I dati sembrano scollegati dalla realtà commerciale, si basano su una visione limitata del mercato e sono contraddette da moltissime ricerche che confermano l’impatto negativo della pirateria sul commercio di musica legale”.
Intanto lo Studio considera il numero dei click a questi siti che secondo JRC contengono musica. Ma non vengono misurate o analizzate le transazioni musicali e le conclusioni si basano su approssimazioni e stime dell’attività musicale.
A contraddire il Rapporto di JRC, i risultati di diversi studi che hanno misurato l’impatto della legge francese contro la pirateria, Hadopi, sulle vendite di musica che dalla sua entrata in vigore hanno registrato un aumento del 20-25% rispetto agli altri Paesi considerati nel campione JRC.
I generi musicali più venduti sono stati proprio quelli che subivano maggiormente la pirateria. E poi ancora, l’applicazione della Direttiva IPRED ha portato nel 2009 a un calo della pirateria e a una crescita del 27% degli acquisti di CD. Anche la recente chiusura di Megaupload ha determinato un incremento delle vendite di film online.
Altro errore dello Studio JRC, secondo IFPI, è la conclusione che la pirateria non danneggia i ricavi digitali, perché si basa su una visione ristretta di questi, considerando solo i download, ma questi ultimi, sottolinea l’IFPI, sono solo una fonte dei ricavi del mercato della musica digitale. La pubblicità nei video streaming o gli abbonamenti rappresentano, per esempio, già il 30% delle revenue.
Il problema vero, conclude l’IFPI, resta la pirateria, perché un utente dovrebbe comprare musica quando può averla gratis?
Per maggiori informazioni:
Digital Music Consumption on the Internet: Evidence from Clickstream Data