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App mobili: business da 25 mld, ma per il Garante Privacy Antonello Soro, ‘Senza garanzie, utenti a rischio’

Italia


Le app mobili dovrebbero generare ricavi per 25 miliardi di dollari quest’anno, in crescita del 62% rispetto al 2012. Un business enorme e inatteso: per fare un confronto, i cinema hanno incassato meno della metà di questa cifra dalla vendita dei biglietti lo scorso anno.

L’offerta è vasta e variegata: si va dalle 800 mila app dell’App Store di Apple, alle 700 mila dello store Google Play, a cui si aggiungono le 125 mila app di Windows e le 70 mila di Amazon.

 

Le app, insomma, si sono dimostrate la vera ‘killer application‘ degli smartphone, così come gli sms sono stati la ‘sorpresa’ dei cellulari di seconda generazione: chi possiede un telefonino di ultima generazione ne ha normalmente attive in media circa 40.

Un boom che nasconde però non poche incognite per gli appassionati, visto che come documentato da diverse inchieste (Leggi articolo Key4biz), le app spesso e volentieri fungono da mezzo per carpire informazioni personali e dati sensibili dei clienti – indirizzi, dati sulla localizzazione geografica, informazioni bancarie, foto, video – senza chiedere loro il consenso (Leggi articolo Key4biz). Smartphone e tablet possono, inoltre, registrare o catturare in tempo reale diverse tipologie di informazioni attraverso microfoni, bussole o altri dispositivi utilizzati per tracciare gli spostamenti dell’utente (Leggi articolo Key4biz).

 

Una pratica stigmatizzata oggi anche dalle Autorità europee per la protezione dei dati, riunite nel “Gruppo Articolo 29“, che hanno adottato un parere che esamina i rischi fondamentali per la protezione dei dati derivanti dalle applicazioni per terminali mobili.

Nel parere sono indicati gli obblighi specifici che, in base alla legislazione Ue sulla privacy, sviluppatori, ma anche distributori e produttori di sistemi operativi e apparecchi di telefonia mobile, sono tenuti a rispettare. Particolare attenzione viene posta nel parere alle applicazioni rivolte ai minori.

 

Raccogliere dati personali senza il consenso degli utenti, ad esempio accedendo alle raccolte di foto oppure utilizzando dati di localizzazione, è una pratica che viola le leggi europee sulla protezione dei dati, in base alle quali ogni persona ha il diritto di decidere sui propri dati personali.

E’ essenziale quindi che le applicazioni, per trattare i dati degli utenti forniscano prima informative adeguate, così da ottenere un consenso che sia veramente libero e informato.

 

Commentando l’intervento del Gruppo Articolo 29, nella cui elaborazione l’Autorità italiana ha dato un significativo contributo, il Garante privacy, Antonello Soro, ha affermato che “…le app sono sempre più diffuse e il loro uso, senza un’adeguata definizione di garanzie e misure a tutela dei dati personali, può comportare rischi per gli utenti che le scaricano. Per questo è fondamentale muoversi in tempo”. 

 

Nel parere, che individua precise raccomandazioni e obblighi per ciascuno degli attori coinvolti, si evidenzia che per meglio tutelare gli utenti è necessario prevedere azioni coordinate  con tutte le parti interessate – sviluppatori, produttori dei sistemi operativi e distributori (“app stores”) –  chiamate a rispettare gli obblighi sull’informativa e sul consenso riguardo all’archiviazione di informazioni sui terminali degli utenti, nonché per l’utilizzo da parte delle app di dati di localizzazione o delle rubriche dei contatti.

Bisogna altresì, secondo il parere dei Garanti Ue, prevedere sin dalle fasi iniziali di sviluppo delle app alcune ‘buone pratiche’ quali “l’impiego di identificativi non persistenti, in modo da ridurre al minimo il rischio di tracciamenti degli utenti per tempi indefiniti, la definizione di precisi tempi di conservazione dei dati raccolti, l’impiego di icone “user friendly” per segnalare che specifici trattamenti di dati sono in corso (ad es. dati di geolocalizzazione)”.

In caso di app rivolte ai minori, viene inoltre ribadita la necessità del consenso dei genitori.

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