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Mercato unico tlc: quanto contano le ‘dimensioni’ per le telco? Pro e contro dell’espansione internazionale

Europa


Anche nel mondo delle telecomunicazioni…le dimensioni sono un fattore importante ma non ‘il più importante’. È la conclusione di un’analisi condotta da Ovum sulla base dei dati finanziari dei 20 principali operatori mondiali tra il 2000 e il 2011, secondo cui le prestazioni di una telco non sempre dipendono dalle sue dimensioni, nonostante la posizione dominante di diverse multinazionali farebbe pensare il contrario.

 

L’autore della ricerca, Emeka Obiodu, sottolinea che “è più vantaggioso per gli operatori avere più clienti meno paesi che avere lo stesso numero di clienti sparsi in più mercati”.

In altre parole, aggiunge, “i nostri risultati dimostrano che l’espansione verticale è più importante per le performance di un operatore che l’espansione orizzontale in più paesi”. Ed è questo il motivo per cui le telco Usa come AT&T e Verizon crescono di più dei concorrenti europei e mandano, spiega ancora l’analista, “un messaggio importante alle telco e alle autorità europee che stanno considerando le opportunità legate al consolidamento, alla convergenza e alla creazione di una rete o di un sistema di regolamentazione/licenze pan-europei”.

 

Fin dagli anni ’80, sulla scia delle liberalizzazioni, delle privatizzazioni e delle opportunità offerte dalle nuove tecnologie mobili, molti operatori hanno deciso di estendere le loro attività in nuovi mercati: lo hanno fatto quelli europei e quelli Usa – anche se poi la maggiori parte di questi ultimi hanno riportato il perimetro delle loro attività all’interno del mercato domestico – e negli ultimi 10 anni anche diverse telco dei paesi emergenti hanno allargato la loro presenza dominando la loro regione. Alcune di queste – vedi America Movil di Carlos Slim – stanno ora tentando di acquisire nuovi asset in Europa.

 

Quando un’operazione di questo genere viene annunciata, tra le motivazioni che la determinano si citano spesso le ‘sinergie’, ‘economie di scala’, ‘economie di scopo’ e il miglioramento della ‘redditività’.

 

“L’espansione su mercati esteri – spiega l’analista Ovum – può aiutare una telco a crescere a fronte della stagnazione del mercato domestico o per compensare prestazioni deludenti in alcuni segmenti dell’attività. Tuttavia, può anche rendere più difficile per il management la gestione di tutte le operazioni”.

 

Dai risultati dell’analisi emerge che avere una presenza internazionale molto estesa non è né meglio né peggio per il business di un operatore. Appare evidente, invece, che “i parametri chiave delle performance sono debolmente correlati con le dimensioni internazionale, mentre i parametri assoluti sono fortemente correlati”.

 

Tra le ragioni operative che spingono una telco a espandersi, la più ovvia è che una maggiore presenza internazionale genererà probabilmente maggiori ricavi e profitti: “per esempio, un fatturato di 1 miliardo di dollari a un margine del 20% è meglio di un fatturato di 500 milioni a un margine del 30%. Per cui, le telco che faticano a crescere sui mercati in cui operano continueranno a perseguire un’espansione geografica”.

 

La ratio dietro l’espansione internazionale è anche la diversificazione dei rischi aziendali: “questa logica ha funzionato bene sia per gli operatori dei mercati sviluppati sia per quelli dei mercati emergenti che hanno sfruttato le forti prestazioni su alcuni mercati per bilanciare le performance più deboli su altri”.

Per quanto riguarda invece le economie di scala e di scopo, conclude Emeka Obiodu, “sono maggiori per un operatore che abbia un maggiore numero di utenti in pochi mercati che per uno che ha lo stesso numero di clienti sparsi su più mercati”.

L’analisi di Ovum, dunque, smentisce la convinzione che una più ampia presenza internazionale debba essere considerata “un obiettivo in sé”.

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