Stati Uniti
Di seguito un articolo a firma dell’avv. Monica Senor, esperta di data protection, pubblicato su Medialaws, sito che propone analisi e approfondimenti tecnici su Leggi e Policy dei Media, offerti in una prospettiva comparativa, con il quale Key4biz ha avviato una collaborazione editoriale.
C’è molto fermento negli USA a proposito di droni. Sia militari che civili.
Quelli militari, come noto, sono stati ampiamente usati dall’amministrazione Obama sia in missioni di ricognizione (UAV non armati) che in veri e propri attacchi mirati, chiamati targeted killings, finalizzati all’uccisione di soggetti ritenuti pericolosi esponenti di gruppi terroristici. Queste operazioni hanno interessato Medio Oriente e Nord Africa, ed in particolare lo Yemen ed il Pakistan al confine con l’Afghanistan, sebbene non siano zone di guerra.
Molte le questioni giuridiche sottese all’utilizzo militare dei droni: dall’elusione delle regole del diritto bellico (che prevede il diritto all’autodifesa di uno Stato sovrano solo nell’ipotesi di attacco imminente) al diritto umanitario internazionale (per l’elevato rischio di uccidere popolazione civile, protetta, in quanto tale, dalla Convenzione di Ginevra); dall’omicidio di presunti terroristi con cittadinanza americana senza previo regolare processo, all’individuazione della fonte del potere del Presidente americano, un potere pressoché assoluto in quanto le decisioni sugli obiettivi mirati vengono assunte da Barack Obama senza approvazione del Congresso.
Quest’ultimo aspetto è particolarmente interessante e degno di approfondimento.
Nei giorni scorsi è stato reso pubblico un White Paper del Dipartimento di Giustizia che argomenta giuridicamente la legittimità delle operazioni letali dirette contro cittadini americani considerati leader o forze associate di Al-Qaeda. Il documento individua due fonti normative alla base dei poteri presidenziali: la Costituzione e l’AUMF (Authorization for the Use of Military Force against terrorists), che è una risoluzione congiunta, approvata dal Congresso il 14 settembre del 2001, che autorizza il Presidente degli Stati Uniti “a ricorrere a ogni mezzo che sia necessario e utile al fine di contrastare tutte quelle nazioni, organizzazioni o persone egli ritenga aver pianificato, autorizzato o favorito gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001“. Un provvedimento che, in considerazione dello stato di emergenza nazionale, delegava al Governo la gestione della sicurezza nazionale, con facoltà di deroga delle garanzie giurisdizionali (vedasi Guantanamo).
Deborah Pearlstein, assistente di diritto costituzionale ed internazionale alla Cardozo Law School di New York, in un post pubblicato alcuni giorni fa, spiega bene la precarietà delle argomentazioni addotte dal Dipartimento di Giustizia.
Innanzitutto, il White Paper parla di “responsabilità costituzionale del Presidente di proteggere la nazione”, senza fare alcun richiamo esplicito ad alcuna norma costituzionale: e sebbene la fonte di tale potere non possa che essere ravvisata nell’Articolo II, pare revocabile in dubbio che i poteri del Presidente ivi richiamati possano estendersi fino a ricomprendere la facoltà di uccidere un cittadino americano senza garantirgli un giusto processo, così come previsto dal Quinto Emendamento.
In secondo luogo, scrive la Pearlstein, anche il richiamo all’AUMF non è soddisfacente in quanto il Dipartimento avrebbe dovuto sostenere che esso è conforme al diritto bellico ma ciò avrebbe significato da un lato affermare che gli USA sono in un conflitto armato internazionalmente riconosciuto con Al-Qaeda, dall’altro che le operazioni letali mirate sono conformi al principio di distinzione previsto dal diritto bellico, secondo cui gli obiettivi militari vanno tenuti separati da quelli civili.
A ciò possiamo aggiungere una semplice, ma inconfutabile considerazione: se l’AUMF è una legislazione di emergenza, davvero dopo oltre dodici anni quelle norme possono ancora legittimamente essere ritenute fondative di autoritari interventi, repressivi della vita e delle libertà individuali altrui?
Qualcosa comunque ha cominciato a muoversi. Infatti, a seguito della pubblicazione del White Paper, il Congresso ha messo in discussione la perdurante validità dei poteri del Presidente, chiedendo una revisione dell’uso di droni e della forza letale da parte degli Stati Uniti.
Non solo. Anche le Nazioni Unite hanno annunciato l’apertura di un’indagine sulle operazioni letali a mezzo dei droni tesa ad accertare se tali attacchi rispettano le regole del diritto bellico.
Ma l’America è in fermento anche per quanto riguarda i droni a uso civile. Un fermento che vede come inaspettati protagonisti esponenti politici repubblicani spesso unitamente ad associazioni per la difesa dei diritti civili.
Minimo comun denominatore: regolamentare, limitandone l’utilizzo, gli UAV al fine di salvaguardare il diritto alla privacy dei cittadini.
Questi gli Stati in cui sono state presentate delle proposte di legge:
Texas. L’House Bill 912 prevede l’introduzione di un reato minore (misdemeanor di classe C) qualora un drone venga usato per catturare video o fotografie in luoghi di proprietà privata senza il consenso del proprietario o dell’occupante, con una sanzione aggiuntiva in caso di diffusione delle immagini o dei video. Il disegno di legge prevede eccezioni per le forze dell’ordine (law enforcement), a condizione però che abbiano un mandato di perquisizione o di arresto o siano alla ricerca di un sospettato. La legge, inoltre, non si applicherà entro 25 miglia dalla frontiera degli Stati Uniti con il Messico, per ragioni di sicurezza dei confini.
Maine. Una proposta (supportata dall’ACLU) prevede che le forze dell’ordine possano usare i droni solo se previamente muniti di uno specifico mandato.
Nebraska. Un disegno di legge (LB412), conosciuto come “Freedom from Unwanted Surveillance Act”, vieta alle forze di polizia, a pena di inammissibilità in giudizio, di usare droni per raccogliere prove o altre informazioni. Unica eccezione l’uso finalizzato a contrastare un elevato rischio di attacco terroristico.
Oregon. Il Senate Bill 71 prevede che il possesso, il controllo e l’uso di un UAV configuri un reato penale minore. La proposta di legge vieta l’utilizzo di droni armati, di droni per la caccia o per combattimenti aerei. Infine, il disegno di legge prevede uno spazio aereo dell’Oregon per rafforzare la giurisdizione statale.
Missouri. Il disegno di legge prevede che le forze dell’ordine ottengano un mandato prima di usare droni per raccogliere prove e vieta a privati, organizzazioni e agenzie statali di utilizzare UAV per operazioni di sorveglianza sotto l’apparente egida dell’attività giornalistica, della ricerca ambientale, del monitoraggio del territorio o di altre attività di finta di sorveglianza. Il progetto ha ottenuto il sostegno della Missouri American Civil Liberties Union.
Florida. Un gruppo di senatori ha approvato in commissione una proposta di legge che vieta l’uso di droni per operazioni di sorveglianza, ad eccezione della polizia munita di regolare mandato di perquisizione, nonché in ipotesi di attacchi terroristici o per salvare la vita di una persona.
North Dakota. Il disegno di legge consente l’uso di droni da parte delle forze di polizia solo in presenza di un mandato e solo nelle indagini per reati più gravi, ovvero per monitorare catastrofi ambientali o climatiche. I droni non potranno essere utilizzati per indagare sui crimini minori o infrazioni del traffico.
Virginia. Il disegno di legge è il risultato di una strana collaborazione tra ACLU e Tea Party; prevede che le forze di polizia ottengano un mandato prima di raccogliere informazioni e vieta la conservazione dei dati, video e foto raccolti da parte della polizia.
California. Il disegno di legge presentato lo scorso 12 dicembre non prevede specifiche norme per l’uso dei droni, limitandosi ad affermare la necessità di una futura legislazione in materia.
Idaho. Il 7 febbraio la Commissione Trasporti del Senato ha approvato una proposta di legge la quale stabilisce che le forze dell’ordine possano usare droni per indagini penali solo a fronte di un regolare mandato in virtù di una “probable cause”.
Significativamente la proposta dell’Idaho, l’ultima in termini cronologici, accompagna una risoluzione approvata dallo stesso Senato che autorizza lo Stato a diventare un sito di sperimentazione per l’uso di droni.
Facendo un rapido excursus emerge che tanti degli altri Stati che stanno legiferando in materia sono territori oggetto di attività sperimentale o effettiva di utilizzo dei droni.
Evidentemente, colpiti in prima persona dai pericoli insiti in pervasive e massive tecniche di sorveglianza che non si fermano davanti alle proprietà private, ma anzi sono in grado di catturare immagini anche all’interno delle abitazioni (spesso associate a strumenti di facial recognition) ed informazioni sin anche attraverso le mura domestiche (mediane l’uso di strumenti ad infrarossi e sensori di calore), gli americani han riscoperto la privacy, loro glorioso baluardo, intesa nel senso originario di “right to be alone”.
In realtà negli States il livello di guardia si sta innalzando in ogni settore in cui l’uso di strumenti tecnologici di controllo e sorveglianza sia potenzialmente in grado di ledere la riservatezza dei cittadini.
Ricordo, in proposito, la cruciale sentenza United States vs. Jones del 23 gennaio 2012 in cui la Corte Suprema americana ha riconosciuto la violazione del Quarto Emendamento nell’apposizione da parte della polizia di un rilevatore GPS sull’auto di un soggetto in assenza di un regolare mandato di perquisizione, sentenza a cui tutte le law enforcement si sono immediatamente adeguate per non incorrere in nullità processuali che vanificassero le attività di indagini.
Non solo. Recentemente anche una società come Google, che da sempre collabora ampiamente con le forze di polizia, nel suo Trasparency Report 2012 ha lamentato che due terzi delle richieste governative americane di accesso ai dati dei suoi clienti avviene senza mandato ed ha ufficialmente cominciato a esercitare pressioni sul Congresso per accelerare il processo di revisione dell’ECPA (Electronic Communications Privacy Act) che a oggi permette alle agenzie governative statunitensi di accedere liberamente ai contenuti delle e-mail archiviate sui server oltre i sei mesi.
Insomma, in un Paese dove, a seguito e a causa dei fatti dell’11 settembre 2001, il Governo ha dato un giro di vite ai diritti fondamentali, cittadini, parte dei governanti e alcune primarie company dell’ICT society (che sulla fidelity dei clienti si giocano il loro futuro) manifestano indubbi moti di sussulto, perché … “La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare” (P. Calamandrei).