Italia
Chi opera nel mercato italiano delle telecomunicazioni, non dovrebbe chiedere interventi regolatori di ‘favore’, ma dotarsi di strategie a lungo termine improntate sugli investimenti nelle reti di nuova generazione, evitando di “azzuffarsi con battaglie di sconti all’ultimo sangue sui servizi tradizionali, che finiscono col diventare un gioco a somma negativa per tutto il mercato”.
È questo il parere di Carlo Alberto Carnevale Maffè, docente della Scuola di Direzione Aziendale dell’Università Bocconi, che è intervenuto stamani su Il Corriere della Sera, per commentare l’uscita di Wind che nei giorni scorsi ha minacciato la chiusura della divisione fissa Infrostrada a causa delle eccessive perdite gestionali, a meno che l’Agcom non si adoperi a cambiare le regole in suo favore.
“Stiamo bruciando cassa invece di fare margini, ancorchè bassi, c’è qualcosa nel mercato che non va. C’è una regolazione che favorisce troppo Telecom”, aveva affermato l’Ad, Maximo Ibarra.
Ibarra chiede in sostanza un decremento di 1 euro (da 9,28 a 8,28 euro) del costo di affitto delle linee Telecom Italia – il cosiddetto ‘unbundling del local loop‘ – che equivarrebbe per Wind a uno ‘sconto’ di 35 milioni di euro l’anno.
Questa richiesta, secondo Carnevale Maffè, “offre lo spunto per una riflessione sulle scelte che attendono non solo l’Autorità per le comunicazioni (Agcom), ma anche le politiche infrastrutturali del futuro governo”.
Molti degli operatori telefonici entrati sul mercato italiano della banda larga fissa senza alcun investimento ma facendo leva solo su condizioni regolatori ‘di favore’, ha spiegato, hanno conquistato ampie fette di mercato facendo leva sui prezzi e senza evidenziare troppo le contraddizioni economiche delle proprie aggressive strategie.
Salvo poi cambiare idea e cominciare a chiedere modifiche regolatorie, minacciando – in caso contrario – di chiudere le aziende e licenziare.
Perchè, si chiede Carnevale Maffè, invece di cambiare strategia e puntare su un diverso approccio al mercato, queste aziende non trovano di meglio che “tirare per la giacca Agcom chiedendo un robusto sconto unilaterale sui prezzi di servizi regolati”?.
Il costo dell’ULL, spiega ancora, viene fissato dai regolatori nazionali ed è stato recentemente aggiornato dall’Agcom a un livello che rispecchia la media dei principali mercati Ue.
Alla luce della stagnazione del mercato, dovuta principalmente a fattori ‘culturali’ e non all’offerta, quindi, “la riduzione unilaterale dei propri costi tramite un mero intervento regolatorio – e non grazie a investimenti in innovazione – si configura come una richiesta di trasferimento diretto di valore, o in casi estremi, di sussidio”.
Bene fanno, quindi, le autorità pubbliche italiane ed europee a puntare, per il rilancio della diffusione di internet, su soluzioni che stimolino gli investimenti nella qualità del servizio e l’evoluzione verso infrastrutture ultrabroadband che possano supportare i nuovi servizi a valore aggiunto.
“La stessa Commissione Europea ha affermato il principio che i prezzi dell’unbundling vanno indirizzati a garantire anche gli investimenti per il potenziamento dell’infrastruttura in rame, in vista dei nuovi servizi basati su architettura Fttc”, spiega Carnevale Maffè, sottolineando che questo approccio si adatta particolarmente bene alla struttura delle rete italiana poichè consente di sfruttare la tecnologia Vdsl per potenziare le attuali infrastrutture in rame. (a.t.)