Italia
Qual è l’impatto della pirateria dei software sulla competitività del sistema-paese e quali gli effetti specifici dal punto di vista finanziario che i concorrenti sleali generano sulle imprese oneste?
A queste domande ha cercato di rispondere lo studio CReSV-Microsoft “Software contraffatti e concorrenza sleale. Il caso italiano” che analizza le correlazioni tra investimenti in programmi informatici e variabili economico-finanziarie delle imprese italiane, dimostrando come l’azione delle aziende scorrette abbia effetti negativi non soltanto nel settore in cui esse operano ma sull’intero sistema economico.
Secondo le stime del rapporto annuale BSA (Business Software Alliance), l’Italia è il secondo paese in Europa per uso di software contraffatti dalle aziende, con un tasso di pirateria che si aggira intorno al 48%, rispetto a una media europea del 34%.
Sulla base dei risultati di una ricerca qualitativa da Ipsos su 15.000 utenti in 33 nazioni, emerge inoltre che il 57% degli utenti ammette di aver impiegato software illegale, se non sempre o quasi, quantomeno occasionalmente o “raramente”, con un tasso decisamente più elevato nei mercati emergenti rispetto a quelli maturi (il rapporto è di circa 68 a 24).
Una situazione che non ha paragoni in nessun altro settore commerciale e che viene affrontata solo ‘a parole’, senza cioè che le dichiarazioni di principio in favore della proprietà intellettuale si trasformino in incentivi pratici atti a far cambiare comportamento ai pirati. Pensiamo, infatti, se lo stesso livello di ‘taccheggio’ avvenisse in un altro settore, magari sugli scaffali di un negozio ‘fisico’, cosa farebbero le istituzioni?
Eppure, sottolinea lo studio, condotto su un campione di 289 società quotate italiane, l’utilizzo di prodotti contraffatti, però, non comporta evidenti vantaggi finanziari alle imprese a fronte di elevati rischi legali.
Emerge invece che vi è una correlazione positiva tra capitale circolante e investimento in software, ovvero che “alti livelli di investimenti in software sono correlati ad alti livelli di capitale circolante nelle aziende”.
In sostanza, sono le aziende più abili nel generare flussi di cassa a ricorrere di più ai software contraffatti, mettendo in atto una pratica distorsiva del mercato a discapito principalmente delle start-up e delle imprese giovani, che sono quelle con più alti livelli di capitale circolante le quali, quindi oltre alla maggiore difficoltà a generare flussi di cassa, si trovano a fronteggiare una difficoltà in più.
Questa pratica distorsiva incide pertanto sulla capacità di crescita del sistema nel suo complesso e dell’ecosistema delle startup, perchè drena risorse all’economia legale e ostacola le imprese più giovani che provano a espandere il loro business.
Dai risultati della ricerca si evince quindi che c’è bisogno di maggiore attenzione al tema degli investimenti in software legali da parte delle imprese e del sistema nel suo complesso, “per le evidenti implicazioni negative che la contraffazione della proprietà intellettuale determinerebbe a livello economico”, ha spiegato Maurizio Dallocchio, responsabile scientifico CReSV Università Bocconi.
“I governi dovrebbero accelerare l’evoluzione normativa a tutela sia della proprietà intellettuale che della libera concorrenza”, ha commentato Thomas Urek, direttore antipirateria – legal and corporate affairs, Microsoft Emea.