Francia
In Francia, come in diversi altri paesi europei, sta crescendo l’insofferenza nei confronti delle pratiche di ‘ottimizzazione’ fiscale messe in atto dalle web company americane che sfruttano la varietà dei regimi fiscali in Europa per pagare una quota risibile di tasse sui fatturati miliardari registrati nei paesi in cui operano.
La Francia, che per prima ha sollevato la questione, seguita da Gran Bretagna e Germania e anche dalla Commissione europea (Leggi articolo Key4biz), ha affidato a due ‘super-esperti’ in materia fiscale – Pierre Collin e Nicolas Collin – il compito di stilare delle raccomandazioni in materia di fiscalità digitale (Leggi articolo Key4biz).
Nel loro rapporto, secondo quanto anticipato dal quotidiano Les Echos, si parla della difficoltà degli Stati a tassare i profitti delle imprese digitali come di “una situazione senza precedenti storici” e riconducibile a diverse cause. Si propone, quindi, di tassare i dati che sono la “linfa vitale” dell’economia digitale e il vero denominatore comune delle grandi web company oltre alla messa in atto delle ben note pratiche di ottimizzazione fiscale.
Le aziende che operano in rete, infatti, fondano il loro business sullo sfruttamento delle informazioni, sia quelle che gli utenti immettono volontariamente nei diversi siti che frequentano, sia intese come ‘tracce’ della loro navigazione.
Dal momento che è estremamente difficile tassare i profitti di queste aziende, specializzate “nel trarre il massimo vantaggio dalla differenze tra i diversi regimi fiscali” e nel rendere estremamente difficoltosa la localizzazione delle loro ricchezze, secondo Collin & Collin bisogna agire su due livelli.
Innanzitutto, su scala internazionale va ridefinito il concetto di ‘stabile organizzazione‘, sul quale si fonda la fiscalità delle imprese dei paesi membri e a cui le web company si appellano per giustificare la possibilità di sottrarsi al fisco nei paesi in cui offrono servizi.
Il rapporto propone quindi di introdurre il concetto di ‘lavoro gratuito‘ degli utenti che, fornendo i loro dati, contribuiscono a realizzare la principale fonte di guadagno delle imprese digitali.
Visto che l’Ocse, sollecitata da diversi paesi Ue, si sta già occupando della tassazione delle multinazionali, a questa soluzione – secondo il quotidiano francese – si potrebbe arrivare molto velocemente a una soluzione in questo senso, entro al massimo il 2014.
Nel frattempo, suggeriscono gli autori del rapporto, bisogna legiferare a livello nazionale proponendo un regime fiscale fondato sulla raccolta e lo sfruttamento dei dati in Francia. Una legge che dovrebbe essere “incentivante” e non concepita “in un’ottica di performance di bilancio”.
L’idea sarebbe quella di modulare l’imposta così da “incentivare le imprese al rispetto della trasparenza e dell’onestà”.
Proprio perchè, come affermato da Margaret Hodge – presidente della commissione parlamentare sui conti pubblici della Gran Bretagna – queste aziende non sono accusate “di pratiche illegali, ma di pratiche immorali” (Leggi articolo Key4biz), sarebbero favorite quelle imprese che rispettano la protezione delle libertà individuali, quelle che informano i consumatori permettendo loro, ad esempio, di accedere ai dati che li riguardano.
Il governo francese, che sta già studiando una legge in materia di fiscalità digitale, chiederà ora al Consiglio nazionale del digitale di vagliare al più presto l’applicabilità delle proposte contenute nel rapporto. Verrà inoltre condotto uno studio sull’impatto di eventuali disposizioni in tal senso che – notano alcuni – non sono di facile applicazione, non essendoci ancora gli strumenti adatti alla misurazione e all’analisi di dati immateriali ed estremamente diversificati.
Quali che siano i metodi che saranno messi in campo creare le condizioni per una maggiore pressione fiscale sulle web company, quel che è certo è che “non si può più permettere che l’Europa sia un paradiso fiscale per alcune aziende” come Google, Apple, Facebook e Amazon che in Francia realizzano un fatturato di “circa 5 miliardi euro, che saranno 9 miliardi nel 2015”, ha dichiarato il ministro per l’Economia digitale, Fleur Pellerin.
“Il rapporto Colin/Collin ci fornisce un certo numero di idee per soluzioni locali. Tra queste, l’uso dei dati personali e i profitti che ne derivano. Ma non è la sola pista che perseguiremo”, ha aggiunto il ministro, facendo riferimento anche alla ‘tassa sui click’, ossia la contabilizzazione dei click che danno accesso ad alcuni articoli, video o foto e a un’eventuale remunerazione per gli editori che li mettono online.
“Si tratta – a giudizio della Pellerin – di una fiscalità totalmente inedita, per rispondere a sfide totalmente nuove che la fiscalità tradizionale non riesce ad affrontare”.
Basti pensare che solo Google ha realizzato lo scorso anno un fatturato tra 1,25 e 1,4 miliardi di euro ma ha versato nelle casse del fisco poco più di 5 milioni di euro.