Europa
Esiste la volontà politica di creare uno spazio unico europeo per le telecomunicazioni, in cui siano allentati i vincoli burocratici che ostacolano lo sviluppo del mercato unico?
È questa la questione centrale da chiarire, per poter accelerare sul progetto di maxi rete europea delle tlc, avanzato dai principali operatori europei che spingono per il consolidamento del settore, così da allineare il Vecchio Continente alla situazione vigente in Cina e negli Usa, dove opera un numero estremamente ridotto di player: uno scollamento che esiste e il cui superamento è cruciale per consentire alle telco europee di competere sul mercato globale.
Se è già un primo passo importante che a Bruxelles stia crescendo la consapevolezza che bisogna spingere su un modello regolamentare che favorisca gli investimenti, quel che è certo, al momento, è che il mercato europeo è troppo frammentato – ci sono 27 paesi e 27 regolatori – e prima o poi sarà necessario eliminare le frontiere anche nel settore delle telecomunicazioni.
Ma quanto potrebbe volerci ad arrivare a una visione unica che convinca le telco del Vecchio Continente a ragionare in un’ottica transnazionale, rinunciando ad alcune voci, come il roaming, che pesano molto sul fatturato?
L’Europa, come ha affermato anche il presidente di France Telecom Stephane Richard, “deve assolutamente dotarsi degli strumenti e dell’organizzazione giuridica che consenta alle sue telco di pesare sul contesto globale e di valorizzare i 450 milioni di utenti”.
E da Bruxelles – dove è in lavorazione un pacchetto di riforma volto proprio a garantire alle telco orientamenti normativi duraturi e che siano di stimo agli investimenti – non sembrano pervenire obiezioni di sorta. Il Commissario per l’Agenda digitale, Neelie Kroes, anzi, ha sottolineato che “varie forme di condivisione degli asset possono promuovere la concorrenza e gli investimenti” (Leggi articolo Key4biz).
Il progetto di rete unificata per le telecomunicazioni – seppur con i diversi ostacoli tecnici e regolamentari che dovrà superare – ha senso soprattutto se si pensa all’attuale contrapposizione tra gli operatori telefonici e gli OTT, ma non deve essere in alcun modo concepita come uno strumento di contrasto a Google, Amazon e Facebook.
Il piano è sicuramente funzionale al superamento dell’attuale sistema e per spingere su una maggiore integrazione che consenta di competere e far leva su dimensioni transnazionali, ma se fosse solo uno strumento per opporsi allo strapotere degli OTT, in questo caso, sarebbe un abuso di posizione dominante.
Le telco, nel frattempo, sono alla ricerca di nuove vie per monetizzare il traffico generato dalle web company e alcuni lo stanno già facendo: France Telecom, a detta di Richard, è riuscito a creare “un equilibrio di potere con Google a livello globale”.
“Ci sono delle zone – ha affermato – in cui Google non può fare a meno di noi, per esempio in Africa. Per cui non possono dirci “ho bisogno di voi in Africa ma in Europa farò altrimenti”.
Un rapporto di forza di cui Richard non ha indicato i dettagli economici, limitandosi a dire che la cifra si attesta a circa il 50% del valore del traffico gestito da Google sulle reti del gruppo. “E’ considerevole”, ha affermato, “ed è una forma di monetizzazione” del traffico generato dal player americano.
Tra le telco e gli OTT, ha spiegato Richard, c’è una profonda interdipendenza: “loro hanno bisogno di noi e noi di loro”, ma bisogna evitare ‘colpi di scena’, come quello di Free, che ha bloccato la pubblicità online (per pochi giorni perchè poi è intervenuto il Governo a imporre la marcia indietro), proprio per costringere Google a mettere sul piatto una parte dei suoi ricavi.
Così facendo, però, Free ha anche spinto il governo francese a prendere una decisione sul tema della net neutrality, che arriverà entro la fine di febbraio, e del finanziamento delle nuove reti a banda ultralarga.