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L’accordo siglato da Google con l’Antitrust americano (FTC) la scorsa settimana e che impegna il gruppo a non usare in maniera impropria i brevetti di Motorola Mobility ritenuti essenziali per il funzionamento di smartphone, tablet e altri dispositivi, impedirà l’ulteriore ricorso a ingiunzioni in tribunale – prassi ormai consolidata tra i protagonisti del mercato mobile mondiale per difendere la proprietà intellettuale. Ma quale sarà l’impatto dell’accordo – che di fatto ‘assolve’ Google anche dall’accusa di aver abusato della sua posizione dominante nella ricerca online per favorire i suoi prodotti e servizi a scapito di quelli dei concorrenti – sull’industria hi-tech?
L’intesa (qui il testo integrale) prevede che Google non usi più in maniera impropria i brevetti essenziali in pancia a Motorola Mobility (17 mila registrati e 7.500 in corso di registrazione), ossia facendo ricorso ai tribunali per chiedere ingiunzioni dei prodotti concorrenti. La società – su base volontaria – dovrà concederli in licenza ai rivali “a condizioni eque, ragionevoli e non discriminatorie”.
L’accordo, secondo Colleen Chien, docente presso la Santa Clara University School of Law in California, “sgonfia il potere del decreto ingiuntivo e anche gli incentivi a non pagare che sono esistiti finora” e chiude un’indagine che la FTC sta portando avanti da due anni con l’impegno della società anche a far cadere le richieste di ingiunzione pendenti contro i rivali nei tribunali di mezzo mondo.
Per la FTC, questo tipo di richieste blocca l’innovazione: l’accordo con Google potrebbe quindi essere usato come modello per altre dispute in corso relative ai brevetti.
Potrebbe, appunto, perchè – come sottolinea Mauro Masi su Milano Finanza – la decisione della FTC ha del paradossale: dell’Antitrust Usa, scrive, “ha individuato un problema serio e grave (l’utilizzo improprio di brevetti) ma non è stata in grado di imporre una regola. Semplicemente perchè le regole on esistono. Chi paga tutto questo? I consumatori, cioè noi”.
Sempre su base volontaria, l’accordo prevede anche la possibilità per i siti di rimuoversi da alcuni servizi Google come quelli per i viaggi o per lo shopping – senza tuttavia venire penalizzati nei risultati del motore di ricerca. Non sono tuttavia ancora chiare le modalità tecniche con cui questo sarà messo in atto. Google si è inoltre impegnato a garantire maggiore flessibilità per le aziende che fanno pubblicità tramite AdWords e che potranno esportare le loro campagne pubblicitarie e usarle anche con servizi concorrenti.
Poco più, insomma, di una pacca sulle spalle per Google (“La montagna ha partorito un topolino”, ha affermato il commissario della FTC, J. Thomas Rosch), mentre è ancora attesa la decisione dell’Antitrust europeo anch’esso impegnato a stabilire se Google stia o meno abusando della propria posizione dominante nel settore della ricerca online.
Il commissario Ue Joaquin Almunia è stato chiaro: se il documento d’impegni che Big G dovrà presentare entro questo mese non sarà ritenuto sufficiente per rimuovere gli ostacoli alla concorrenza, potrebbe infliggere a Google una multa fino al 10% del proprio fatturato globale annuo, che lo scorso anno ammontava a 47 miliardi di dollari.