Elezioni, primarie e… Agenda Digitale

di di Michele Vianello |

Una prima domanda: può una legge aiutare a innovare un Paese già pieno di leggi e di norme?

Italia


Michele Vianello

Siete tutti a discutere di elezioni, di candidati alle primarie? E io vi spiazzo!

 

Vi parlo invece di agenda digitale. Meglio del Decreto Legge così come approvato dagli Organi Legislativi.

 

Non vi parlerò quindi del mondo come ci piacerebbe che fosse, ma di una Legge dello Stato italiano, così com’é. Essendo un secchione me la sono letta. Appartengo ad una generazione di Amministratori (in estinzione purtroppo) che prima di parlare studiava.

 

Cosa c’entra con le elezioni l’Agenda Digitale, mi chiederanno alcuni di Voi?

Per scegliere chi votare, alla fine delle ideologie, valuto i comportamenti.

L’innovazione è il futuro per il nostro Paese. Meglio ne è la speranza.

 

Pubblicherò quindi tre pezzi (un pò lunghi) oggi e nei prossimi due giorni.

 

Confesso che in queste ore ho già seminato su Twitter qualche “dubbio”.

 

1. La cultura dell’Agenda Digitale. Vizi e virtù (è quello che state leggendo);

2. Una scelta dirigistica e un suicidio annunciato: le comunità intelligenti e l’Agenzia per l’Italia Digitale;

3. Startup e nuova imprenditoria.

 

Scaldati i motori? Si parte.

 

L’Agenda Digitale di un Paese dovrebbe investire tutte le politiche di modernizzazione e tutti gli ambiti della vita. Il pubblico e il privato. D’altronde da anni ripetiamo che l’I.T. da il meglio di sé se è pervasiva.

 

In Italia non esiste un pubblico inefficiente ed un privato avanzato ed innovativo. Molta parte dell’industria italiana è arretrata.

 

L’Italia è poco avanzata sotto il profilo della capacità di crescere cogliendo le potenzialità offerte dalle tecnologie e dalle piattaforme IT.

 

Il pubblico semmai ritarda il privato che vuole innovare a causa dell’eccesso di legificazione e burocratizzazione.

 

Una prima domanda: può una legge aiutare a innovare un Paese già pieno di leggi e di norme?

 

In questo senso la Legge Agenda Digitale costituisce un’occasione mancata. Poiché è in larga parte un’autoriforma della P.A. e usa le tecnologie I.T. per “riperpetuare” in forma moderna la burocrazia esistente. Il simbolo di questo approccio culturale è rappresentato dalla riproposizione stantia della “carta d’identità elettronica”.

 

Ovviamente la Legge non affronta (sbagliando) le forme d’incentivo, di formazione, di persuasione rivolte all’imprenditoria privata perché finalmente innovi, usando l’I.T. i processi e i prodotti.

 

Mi fanno insorgere allora un “sentimento di tenerezza” (davvero) quelli che glorificano come una grande vittoria l’uso della PEC per corrispondere con gli uffici pubblici. “Finalmente siamo moderni, obiettivo raggiunto!!! hip, hip hurrà, abbiamo la PEC”.

 

Il problema non é tanto quello di estendere l’uso della PEC (cosa giusta in tutti casi), quanto piuttosto di eliminare inutili procedure.

 

L’I.T. può aiutare ad eliminare procedure perché obbliga ad esemplificare e a ridurre i passaggi. Rende orizzontale ciò che è stato organizzativamente concepito in modo verticale. L’I.T. aiuta a tagliare costi perché elimina procedure labour intensive (chi ha voglia di parlare in campagna elettorale di eccesso di lavoratori nella P.A. che innova?).

 

La Legge approvata contiene una sola eccellenza da valorizzare: i provvedimenti in materia di sanità. Complimenti a chi li ha scritti ed ideati, davvero bravi e lungimiranti. L’unico “problema” sarà quello di cambiare la cultura organizzativa e di ruolo ad una miriade di medici e di dirigenti sanitari, ma va bene così.

 

Le criticità del provvedimento e le cose da lasciar perdere: 

 

1. L’Agenda per realizzarsi davvero avrà bisogno di Decreti e Regolamenti attuativi. Ne ho contati almeno una ventina. Chi li scriverà, visto che non c’é più un Governo in carica e ci si avvia ad elezioni? Il punto è molto delicato. Il contenuto dei Decreti attuativi e dei regolamenti potrebbe risolvere molti dei limiti presenti nella “Legge madre”. La burocrazia pubblica ovunque essa sia (Stato Centrale, Tribunali, Comuni…) non riformerà mai sé stessa. L’Agenda Digitale è stata scritta in larga parte dalle burocrazie (non è un termine dispregiativo, è uno stato di fatto, una condizione della vita), che ragionano secondo la conservazione dei loro canoni organizzativi. Nella migliore delle ipotesi si limiteranno alla “digitalizzazione dell’esistente”. Gli indirizzi dei Decreti e dei Regolamenti (in parte la stessa scrittura) non dovrebbero essere affidati alle “burocrazie ministeriali”.

2.Ci sono alcuni contenuti della Legge che un nuovo Governo dovrebbe lasciar perdere totalmente o riscrivere “di sana pianta”. Il peggio del “Libro cuore” e della cultura tardo ottocentesca è rappresentato nel Capitolo pomposamente intitolato “Agenda digitale per l’istruzione e la cultura digitale”. Il meglio (in puro stile trash) è rappresentato dalla seguente dizione: “La mobilità nazionale degli studenti si realizza mediante lo scambio telematico del fascicolo elettronico degli studenti”. Ho capito che siamo in epoca di “dematerializzazione”, ma c’é un limite alla fantasia! Chi è il genio che ha scritto questa frase? mi piacerebbe conoscerlo. È un tipico esempio di digitalizzazione dell’esistente. Prima c’era la raccomanda RR e il messo notificatore, ora “lo scambio telematico”. L’essenza non cambia. Il peggio del Decreto (maglia nera in assoluto) è rappresentato dall’Articolo 11 “Libri e centri scolastici digitali”. Da vergognarsi, non è degno di un Paese civile”. Non sto scherzando.

 

3.Tra le cose da lasciar perdere totalmente è l’idea del “telelavoro” che, notoriamente è cosa per gli “sfigati”. Non a caso il “telelavoro” sta nell’art. 9 della Legge che si occupa di “inclusione digitale”. La diffusione del B.Y.O.D. e del Cloud Computing (cari burocrati non vi dico di che si tratta, fate uno sforzo aggiornatevi) sta creando le condizioni affinché i lavori più ricchi intellettualmente -e meglio retribuiti- vengano svolti in mobilità al di fuori dei vincoli di orario. Gli Istituti di ricerca ci spiegano che nel 2016 metà della popolazione mondiale lavorerà in mobilità. È il lavoro del futuro, quello più ricco. Abbandoniamo definitivamente il concetto di “telelavoro”. Sono cose da ‘900 (tipo la CGIL e Fassina, per capirci).

 

Provvedimenti potenzialmente buoni se…..

 

1. L’art.8 “Misure per l’innovazione dei sistemi di trasporto”, poiché recepisce una analoga Direttiva Comunitaria (2010/40/UE) potrebbe aiutare l’innovazione di uno dei settori più importanti nell’organizzazione di un territorio. Due osservazioni. Finalmente la Legge stabilisce (ma ci voleva una legge?) che la bigliettazione elettronica si può fare anche attraverso i device mobili. Il futuro è lì. Le risorse per la ricerca e la sperimentazione dovrebbero essere concentrate sulle interazioni tra i device mobili e i sistemi di trasporto. Resiste a difendere la riserva qualche ultimo Apache veneziano. La storia, come sempre, provvederà a fare giustizia. Ma, il pieno dispiegarsi degli effetti dell’innovazione I.T. (non solo nel trasporto) potrà avvenire solo se si imparerà ad utilizzare i dati per generare valore.

2. E qui veniamo alla gioia, alla delizia, alla ragione di vivere di molti miei amici (assieme alle virtù dell’open source), l’open data. Questa è la parte più complessa e piena di aspettative della Legge. Quindi, amici miei, il taglio culturale con il quale si affronta l’uso del dato aperto farà la differenza. Fatevene tutti una ragione, i dati in formato open non servono (sarebbe uno spreco) a “fare le pulci al Comune o alla Regione”. Spesso peraltro si prendono delle cantonate pazzesche. Un consiglio: candidatevi al Consiglio Comunale, partecipate alla vita istituzionale, accettate un contraddittorio. Facebook non è la fine della storia. Recita la Legge: “Sono dati di tipo aperto (quelli che) … sono disponibili secondo i termini di una licenza che ne permetta l’utilizzo da parte di chiunque, anche per finalità commerciali, in formato disaggregato“. Un concetto chiaro, finalmente. Evitiamo allora di perdere tempo “a smacchiare i giaguari” (metafora bersaniana ma, siamo in campagna elettorale). Uno dei fattori competitivi nei prossimi anni sarà la capacità di gestire dati per generare valore (The Big Data…i burosauri ne hanno vagamente sentito parlare?). Valore per le imprese, valore per il territorio, valore per le persone.

 

La Legge ne stabilisce anche l’uso per fini commerciali. Qualcuno ha riflettuto alle conseguenze (giuste) di questa dizione. Il privato si sta attrezzando per l’uso a fini commerciali dei dati, il pubblico non ha la percezione di questa sfida. Ma chi se frega (scusate l’eufemismo) di poter vedere lo stipendio dei politici, quando la posta in gioco è il potere che deriva dalla capacità di usare i dati. Non disperdiamo inutilmente le nostre competenze e la nostra cultura in battaglie di retroguardia. L’occasione perduta nella Legge sta nel non aver definito la nozione di dato “di pubblica utilità”. Dati prodotti da soggetti privati ma, che per la loro importanza possono generare “ricchezza sociale”. La Legge, come conseguenza, genererà la nascita o il consolidarsi di molti “silos di dati” pubblici. Potenzialmente saranno dati offerti in formato open. Era ora. Ma molti dati resteranno chiusi nei “silos” perché non in relazione tra di loro. Ciò farà sempre di più perdere valore e diminuirà le nostre capacità competitive. E qui dovrebbe intervenire la politica. C’é un Partito (una coalizione di quelle che si presentano, un qualsivoglia candidato alle primarie?) che propone, sapendo di cosa parla, di prevedere, obbligare, incentivare l’apertura e la messa in relazione dei “silos” di dati pubblici e/o di interesse pubblico? Ad esempio quanto valore sociale ed economico si potrebbe ottenere nel mettere in relazione i “silos” della sanità e i “silos” dei trasporti? Ciò avrebbe come conseguenza la generazione di occupazione e di ricchezza economica e sociale.

(Pubblicato sul blog di Michele Vianello michelecamp.it)

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