La bulimia di Big G fa paura. Il fisco indaga anche sugli ultimi bilanci mentre il Parlamento tedesco avvia l’esame della Lex Google

di Raffaella Natale |

Negli anni la web company ha costruito un’attività tentacolare, diventando una macchina da soldi grazie anche a tutte le scappatoie legali che gli permettono di bypassare il fisco e non pagare i diritti d’autore.

Europa


Google

I prossimi giorni saranno cruciali per Google. Oggi il Parlamento tedesco avvia l’esame sulla legge che introduce un compenso per gli editori da parte dei motori di ricerca che indicizzano i loro contenuti. La legge, nota come Lex Google, ha scatenato Big G, che è addirittura sceso in campo, lanciando una campagna a ‘difesa della libertà della rete’ con la quale spinge gli utenti a sottoscrivere una petizione contro la proposta al vaglio del Bundestag (Leggi Articolo Key4biz).
 

A livello europeo si sta creando un cordone di difesa contro la ‘bulimia’ di Google. La questione non riguarda solo il mancato pagamento del diritto d’autore ai giornali, ma anche i sistemi adottati per bypassare il fisco e non pagare le tasse dove fornisce i suoi servizi.

Ieri in Italia il Ministero dell’Economia ha fatto sapere che il fisco sta indagando su Google e che per il periodo 2002-2006 risulterebbero redditi non dichiarati per oltre 240 milioni di euro e una Iva non versata pari ad oltre 96 milioni di euro (Leggi Articolo Key4biz.) Nel mirino delle Fiamme Gialle, secondo quanto si apprende oggi, ci sarebbero anche gli ultimi anni. I nuovi accertamenti, appena iniziati, punterebbero ancora una volta alla verifica del rispetto della normativa fiscale.

 

In Francia, intanto, il deputato socialista, Sandrine Mazetier, ha presentato un’interrogazione al Ministro dell’Economia digitale, Fleur Pellerin, sul ruolo del gruppo di Mountain View sul mercato francese e sulla possibilità di uno smembramento della compagnia per assicurare la sua neutralità.

La proposta appare poco realistica – il governo può difficilmente incidere su un eventuale smantellamento della società americana – ma pone l’accento su una questione di grossa rilevanza.

La posizione dominante di Google nella ricerca online è stata riconosciuta dall’Antitrust francese, visto che controlla una quota di mercato superiore al 90%.

Anche in Italia, nella relazione del giugno scorso, il presidente dell’Antitrust, Giovanni Pitruzzella, ha lanciato l’allarme, ponendo l’accento sul rischio di concentrazione anche nella raccolta pubblicitaria: “I motori di ricerca come Google e i cosiddetti social network ormai costituiscono un passaggio obbligato per la distribuzione dei contenuti web e Google…nel giro di pochi anni potrebbe diventare monopolista in questo mercato” (Leggi Articolo Key4biz).

 

Sulla web search, stanno indagando anche la Ue e l’Antitrust USA (Federal Trade Commission – FTC), sulla scorta delle denunce presentate dai competitor di Google, che l’accusano di favorire i propri servizi.

La compagnia s’è difesa sostenendo che “non può esserci confusione: i risultati di ricerca sono frutto di un algoritmo e non di un intervento umano”. Ma questa affermazione può essere opinabile.

La FTC ha proposto al motore di ricerca di opporre il logo su ognuno dei suoi servizi, per rendere più chiara la situazione. Una proposta che non convince i detrattori. Bloomberg ha annunciato che l’Antitrust USA non possiede in realtà elementi sufficienti per condannare Google. Quanto invece all’inchiesta di Bruxelles, il gruppo americano ha fatto sapere che “continua a cooperare con la Commissione Ue“.

 

Google ha creato intorno a s’è un ecosistema tentacolare con una strategia di tipo verticistico che fa giustamente paura a tanti operatori di diversi settori, dai viaggi allo shopping, dalla musica al turismo. Avendo affinato il sistema di ricerca e forte di oltre 1 miliardo di utenti nel mondo, diciamo pure che in rete può fare il bello e il cattivo tempo.

I suoi dipendenti possono sviluppare all’interno diversi tipi di progetti. Ciò ha portato alla coesistenza di servizi e prodotti estremamente vari, tutti accumunati dal marchio Google.  

Nel 2011, col suo ritorno al timone della società, Larry Page aveva annunciato l’intenzione di riportare l’azienda al core business. Sono, infatti, stati bloccati una serie di servizi, come Google Health o Google Powermeter.

Ma ancora oggi, dal motore di ricerca è possibile accedere a oltre 200 servizi, dal software di progettazione in 3D SketchUp alla condivisione di foto con Picasa, passando dal servizio di assistenza per le aziende Google Places a Google Transit, che permette di essere informati sulle condizioni del traffico. Senza considerare i proventi che gli provengono dal sistema operativo Android, istallato sul 75% dei dispostivi mobili del mondo.

 

Nonostante l’ampio ventaglio di servizi offerti, Google resta un’azienda che fa soldi essenzialmente con la pubblicità, che genera il 97% delle sue entrate.

In Italia, per esempio, con la sola search (poco meno di 500 milioni), supera ampiamente la raccolta di un gruppo come Rcs, che tra quotidiani e periodici dovrebbe chiudere l’anno a 350 milioni. Mentre YouTube potrebbe attestarsi su una raccolta di 100 milioni (anche se le stime più prudenti parlano della metà, circa 50 milioni), quando La7 arriverà al termine del 2012 a portare a casa 185 milioni di spot, più un’altra decina di La7D.

 

I timori che ci sia un abuso di posizione dominate sembrano, quindi, fondati e si legano ad altre due situazioni inquietanti che mettono a serio rischio la concorrenza del mercato: Google attraverso le procedure di ottimizzazione fiscale riesce a sottrarsi al pagamento delle tasse nei Paesi dove opera (con danno per tutte le aziende nazionali) e non paga i diritti d’autore agli editori per i contenuti che indicizza e sul quale guadagna abbondantemente dalle inserzioni pubblicitarie. I principali Paesi europei, capeggiati dalla Francia, hanno cominciato a dire basta. Come finirà? Stay tuned.

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