Italia
Redditi non dichiarati per oltre 240 milioni di euro da parte di Google Italia, e una Iva non pagata pari ad oltre 96 milioni di euro. I dati si riferiscono a una verifica svolta dal nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Milano nel maggio 2007 per gli anni 2002-2006 e sono contenuti nella risposta del Ministero dell’Economia a una interrogazione del deputato del Pd Stefano Graziano in Commissione Finanza (Leggi Articolo Key4biz).
Da lunedì scorso, spiega il Sottosegretario all’Economia, Vieri Ceriani, “il nucleo di polizia tributaria della GdF di Milano ha avviato una verifica fiscale extraprogramma nei confronti di Google Italy srl a socio unico, finalizzata al riscontro del corretto adempimento degli obblighi fiscali in Italia”. Attualmente, ha proseguito il sottosegretario, l’Agenzia delle entrate sta verificando i risultati dell’ispezione.
La stessa Agenzia delle entrate, ha riferito Ceriani, ha fatto presente la difficoltà di agire nei confronti delle società digitali transnazionali che, come rilevato da Graziano nell’interrogazione, “sfruttando ingegnerie finanziarie offerte da evidenti lacune nella normativa nazionale e internazionale, riescono a non pagare le tasse nel nostro Paese”.
Il sottosegretario ha, quindi, informato che l’Agenzia, per contrastare efficacemente fenomeni di pianificazione fiscale aggressiva avanti scala transnazionale, “sta procedendo, in base a un primo screening delle risultanze dell’attività di tutoraggio dei grandi contribuenti, a una selezione di posizioni che possano dar luogo a una mirata attività di controllo fiscale nei confronti dei gruppi multinazionali attivi nel settore dell’elettronica e dell’eCommerce e le cui strategie fiscali sono oggetto di attenzione da parte dell’opinione pubblica italiana e internazionale”.
Ceriani ha, inoltre, riferito che l’Italia sta portando avanti nelle sedi internazionali un’azione contro l’erosione di base imponibile causata dalle pratiche di ottimizzazione fiscale attraverso lo “spostamento artificioso degli utili” nei Paesi dove il regime tributario è maggiormente vantaggioso. Google Italy imputa, infatti, i suoi proventi alla casa madre in Irlanda. E proprio sotto presidenza irlandese, l’anno prossimo il Consiglio europeo esaminerà l’Action plan e la raccomandazione sui paradisi fiscali e la pianificazione fiscale aggressiva che la Commissione Ue sta predisponendo.
La questione non riguarda solo Google, infatti, ma tutte le multinazionali operanti nel settore digitale. Il problema, nel caso di Big G, è che la società italiana ha dichiarato solo le provvigioni percepite a fronte delle prestazioni rese prima alla Google inc. e poi la Google Ireland. E non invece l’intero volume commerciale sviluppato. La verifica disposta dalla procura di Milano ha, infatti, accertato, afferma il Ministero, che il fisco è stato ‘eluso’ in base a un contratto di servizio tra la società italiana e quelle estere “artatamente posto in essere con la sola finalità di simulare l’esercizio da parte di Google Italy Srl di una mera attività ausiliaria e preparatoria che non ha tuttavia trovato alcun riscontro negli elementi di fatto acquisiti”.
Secondo Stefano Graziano, la risposta del governo “conferma la fondatezza dei nostri interrogativi su questa vicenda”, ma non è soddisfacente sotto il profilo delle “iniziative che il governo deve prendere”.
“Il momento di crisi economica così profonda – sottolinea il deputato del Pd – impone più forza e determinazione. Diversamente si rischia che aziende italiane siano nettamente svantaggiate rispetto a chi ha sede in Paesi nei quali la fiscalità offre maggiori vantaggi. E’ una questione di giustizia sociale che non può essere trascurata”.
Google, dalla sua, si dice fiduciosa di rispettare la legge italiana: “Rispettiamo le leggi fiscali in tutti i Paesi in cui operiamo e siamo fiduciosi di rispettare anche la legge italiana”.
Aggiungendo: “Continueremo a collaborare con le autorità locali per rispondere alle loro domande relative a Google Italy e ai nostri servizi“.