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Motori di ricerca, social network… gli utenti sanno come vengono realmente usati i loro dati personali?

Italia


Facebook ha annullato il sistema di voto introdotto per raccogliere le opinioni degli iscritti sulle modifiche alla privacy che intende apportare. Perché? Troppi commenti poco attinenti. Il gruppo, con un post ufficiale di Elliot Scharg, vicepresidente Communications, Public Policy and Marketing, ha informato gli utenti: “Stiamo proponendo di mettere fine al processo di voto e di sostituirlo con un sistema che ci consenta di coinvolgere maggiormente gli utenti e di ottenere commenti più pertinenti“.

 

La società americana intende apportare degli aggiornamenti alla sua policy in materia di riservatezza dei dati personali, spesso oggetto di forti critiche. La sua proposta intende chiarire come vengono raccolti e usati i dati delle persone che usano Facebook.

Le modifiche proposte sono disponibili sotto la voce “Documents” della Pagina delle normative del sito Facebook.

Il gruppo invita a inviare i propri suggerimenti, prima che le proposte siano finalizzate ma, in attesa del nuovo sistema, i tempi stringono, visto che potranno essere inviati entro le ore 9 del 28 novembre.

 

La questione è molto complessa e non è roba da poco visto che dietro l’enorme mole di dati personali si cela il business che ha fatto la ricchezza dei cosiddetti OTT, gli Over The Top, come appunto Facebook, Google, Twitter, Amazon, Apple, definiti così perché ‘stanno’ al di sopra della rete, fornendo servizi e contenuti per mezzo del web senza possedere, né gestire le infrastrutture che usano.  

Tutto questo è stato possibile grazie a norme sulla privacy fin troppo elastiche che, se rese più rigide, metterebbero in crisi gli attuali modelli di business, essenzialmente basati su pubblicità sempre più mirate e conformate ai gusti e le passioni degli internauti (Leggi Articolo Key4biz).

Un tweet, una foto postata su Facebook, una password digitata su internet, un prodotto consultato su un sito di eCommerce, un articolo letto su un quotidiano online, una geolocalizzazione dal telefonino: ogni giorno noi tutti, spesso a nostra insaputa, lasciamo tracce digitali ricche di centinaia di informazioni su le nostre abitudini e le nostre preferenze.

Ribattezzati come ‘il petrolio del XXI secolo”, i dati informatici – raccolti attraverso i cookies – sono una miniera d’oro per i brand per studiare il comportamento dei consumatori e inviare pubblicità sempre più mirate.

Secondo Boston Consulting Group, il valore creato dalle nostre identità digitali è davvero enorme: solo in Europa si parla di 1 trilione di euro entro il 2020, ossia circa l’8% del PIL combinato della Ue-27. L’uso dei dati personali porta un beneficio economico, ovviamente non solo per aziende private, di 330 miliardi di euro l’anno entro il 2020, unico settore in crescita in un’economia stagnante (Leggi Articolo Key4biz).

In tutto questo la Ue ha cercato di produrre norme più stringenti sulla data protection (Leggi Articolo Key4biz) e anche negli Stati Uniti, negli ultimi tempi, l’Antitrust (FTC) si sta ponendo il problema, specie per quanto riguarda l’uso dei dati dei minori (Leggi Articolo Key4biz).

 

I Garanti Ue hanno recentemente imposto a Google di modificare urgentemente la propria policy sulla privacy, perché non in linea con le disposizioni comunitarie e non in grado, quindi, di fornire sufficienti garanzie sui dati personali degli utenti (Leggi Articolo Key4biz).

 

La Ue non è contraria all’uso dei dati personali, ma ritiene giusto che si faccia nell’ambito di un contesto legale e che il consumatore possa controllare i propri dati e sapere come vengono usati. Si corre, infatti, il rischio che questi OTT diventino monopolisti globali delle informazioni personali di tutti i cittadini digitali con gravi violazioni della privacy.

Timore reale perché, anche per la data protection, potrebbero bypassare le norme Ue, come già fanno per le tasse, asserendo che i loro server non sono collocati in Europa.  

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