OTT alla resa dei conti in Gran Bretagna: Amazon non svela i conti e Google è in deficit. Per la Commissione parlamentare ‘un insulto’

di Raffaella Natale |

Google ammette il ricorso ai paradisi fiscali, ma precisa: ‘Procedura perfettamente legale’.

Gran Bretagna


Paradisi fiscali

La Gran Bretagna, così come la Francia e speriamo presto l’Italia, non ha alcuna intenzione di cedere sul dossier che riguarda gli OTT e i paradisi fiscali.

Ieri le multinazionali americane Starbucks, Google e Amazon sono finite sotto il fuoco incrociato dei parlamentari britannici che li accusano di sottrarsi alle imposte sul grosso degli utili che realizzano nel Regno Unito.

La Commissione dei conti pubblici del Parlamento ha convocato le tre società per chiedere spiegazioni davanti all’incalzare delle interrogazioni e al procedere delle inchieste sulle pratiche di ‘ottimizzazione fiscale’ di diverse compagnie estere.

 

La scorsa settimana, Gran Bretagna e Germania hanno anche annunciato di voler portare la questione all’attenzione del G20 per avviare un’azione congiunta tesa a evitare che le multinazionali, specie gli OTT, paghino la loro giusta parte di tasse (Leggi Articolo Key4biz).

 

Nel corso dell’audizione di ieri, Amazon ha ammesso che il fisco francese reclama 252 milioni di dollari (198 milioni di euro) d’imposte non versate, più interessi e more per aver dichiarato all’estero il fatturato prodotto in Francia (Leggi Articolo Key4biz).

 

I membri della Commissione parlamentare britannica hanno contestato vivacemente il director of public policy di Amazon, Andrew Cecil, per non aver risposto alle domande poste sulle attività del gruppo.

Cecil s’è, infatti, rifiutato di svelare l’importo dei ricavi realizzati da Amazon nel Regno Unito, asserendo che il gruppo “non ha mai reso note queste cifre“.

 

La Relazione annuale di Amazon precisa che il Regno Unito nel 2011 rappresentava tra l’11% e il 15% del fatturato totale, vale a dire tra i 5,3 e i 7,2 miliardi di dollari.

 

A riguardo, Amazon s’è rifiutata di fornire chiarimenti.

 

“Tutto questo è inaccettabile (…) è un insulto”, ha dichiarato il presidente della Commissione, Margaret Hodge, a proposito dell’incapacità di Andrew Cecil di rispondere alle domande sulle vendite britanniche di Amazon e sulla struttura legale del gruppo.

Lo scorso anno, la principale filiale di Amazon in Gran Bretagna ha pagato meno di un milione di sterline di tasse. Le vendite di Amazon in Europa sono, infatti, integrate ai conti di una società con sede a Lussemburgo. Ciò permette alla compagnia di limitare all’11% le tasse sugli utili realizzati lo scorso anno nel Vecchio Continente.

 

Matt Brittin, vicepresidente di Google, ha ammesso che la web company traghetta i profitti realizzati in Europa in una filiale con sede alle Bermuda, precisando, però, che si tratta di una procedura perfettamente legale.

I conti pubblicati da Google evidenziano che nel 2011 ha realizzato 4 miliardi di sterline di ricavi nel Regno Unito. Ma mentre il gruppo registra un margine mondiale del 33%, la principale divisione britannica si dichiara in perdita sia per lo scorso anno che per il 2010.

 

Troy Alstead, direttore finanziario della catena americana di caffetterie Starbucks, ha dovuto spiegare com’è possibile che il gruppo abbia dichiarato al fisco britannico d’essere in perdita da 13 anni consecutivi.

“O gestite male l’azienda o c’è un trucco“, ha detto senza mezzi termini il deputato Austin Mitchell.

Il mese scorso, un’indagine di Reuters aveva rivelato che negli ultimi tre anni Starbucks non ha pagato alcuna imposta sulle società nel Regno Unito e ha versato solo 8,6 milioni di sterline dopo il 1998 contro un fatturato di 3,1 miliardi.

Troy Alstead ha assicurato che Starbucks non porta i profitti fuori dal Regno Unito e ha spiegato che i cattivi risultati finanziari registrati sul mercato britannico dipendono dagli affitti commerciali che sono molto cari.

Ma le contraddizioni sono tante, troppe: Alstead ha assicurato che la divisione britannica è stata in utile solo nel 2006. Ma nel 2009 in occasione di un incontro con gli analisti finanziari aveva assicurato che la stessa divisione era redditizia e nel 2008 il suo predecessore aveva citato sempre la stessa divisione come quella tra le più proficue della catena americana.

 

E’ evidente che i conti non tornano.

 

Alstead ha, tuttavia, ammesso di aver concluso un accordo col fisco olandese che gli assicura un regime fiscale molto basso sulle attività presenti nei Paesi Bassi e che Starbucks UK, la filiale britannica, versa il 6% del proprio fatturato alla divisione olandese per l’uso del marchio Starbucks.

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