Stati Uniti
Privacy e minori, un tema molto caldo e che desta grosse preoccupazioni nell’era dei social network, dove è quasi diventata un’abitudine condividere le informazioni personali e non curarsi più della riservatezza, come se fossimo tutti parte di una grande famiglia.
Eppure i fatti di cronaca, tanti purtroppo, ci dicono il contrario, e quindi sarebbe opportuno che tutti noi che usiamo i social media e internet in generale cominciassimo a diventare più attenti alle ‘tracce’ che lasciamo in giro per la rete, specie se coinvolgono i nostri figli.
Dall’America arriva la notizia di una nuova norma, che dovrebbe presto essere approvata su richiesta della FTC, che prevede un ampliamento delle richieste di autorizzazione da parte delle web company ai genitori per poter usare le informazioni dei figli che hanno meno di 13 anni.
Com’era prevedibile, la proposta ha scatenato le aziende della Silicon Valley che stanno facendo fronte comune per bloccare questa iniziativa che, a loro dire, metterebbe a serio rischio lo sviluppo delle app per ragazzi e tutto l’ecosistema che gravita intorno a questo business.
“Se queste norme fossero adottate – ha commentato Catherine A. Novelli, responsabile government affairs di Apple – produrrebbero l’effetto di rallentare lo sviluppo di applicazioni a favore dei bambini e frenare la crescita economica e la creazione di posti di lavoro generati dall’app economy“.
Ma la preoccupazione di fondo, sia per l’industria che per i regolatori, non riguarda tanto i prodotti online per bambini, ma quanto i meccanismi di data collection e data mining che facilitano il marketing digitale su app e siti web e il timore che queste pratiche possano mettere a rischio i minori.
Nel dettaglio questa nuova disposizione, rispetto alle forme di tutela già fissate nel 1998 dal COPPA (Children’s Online Privacy Protection Act) per garantire i minori che navigano in rete, estende la necessità del consenso anche ai dai raccolti sfruttati per sviluppare le cosiddette pubblicità comportamentali: sistemi di identificazione o cookies, che vengono usati dalle società per tracciare i movimenti, anche dei ragazzini, su internet e identificarne gusti, abitudini e poter proporre pubblicità mirate.
La preoccupazione delle autorità americane è, infatti, capire come sono usate queste informazioni, considerate altamente pregiate dagli advertiser, e tutelare al meglio la privacy dei minori, sempre più a rischio dall’arrivo dei social network come Facebook o Twitter. L’idea è, quindi, quella di vietare alle aziende di compilare dossier sulle attività online – con informazioni su salute, status socio-economico, razza e sentimenti – di ogni singolo bambino che si trovi sul web.
Anche la Ue, per voce del Commissario Ue per la Digital Agenda, Neelie Kroes, ha espresso grande preoccupazione per i lavori di standardizzazione che riguardano, più in generale, le pubblicità mirate su internet, palesando forti dubbi sulla capacità di queste misure di proteggere efficacemente la privacy degli utenti. La Kroes ha sottolineato che il W3C (World wide web consortium), l’organismo che si occupa delle norme di internet, sta lavorando al momento allo standard unico Do not track (DNT) che consente agli utenti di chiedere di non essere tracciati e quindi di non diventare oggetto di targeted adevertising in funzione dei siti web che frequentano.
“Sono sempre più preoccupata del ritardo e della direzione che stanno prendendo le discussioni in seno al W3C“, ha detto la Kroes, aggiungendo di temere che lo standard al quale sta lavorando l’organismo finisca per essere ‘edulcorato’.
Lo standard DNT “deve fare la differenza in materia di tutela della privacy” e “dare agli utenti la possibilità di controllare le informazioni che li riguardano”.
Ovviamente gli interessi in gioco sono tanti e non tutti così dannosi, anzi, solo che una materia così delicata senza una regolamentazione precisa rischia di far sfuggire di mano la situazione.
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