Italia
Ritiro della procedura di licenziamento e apertura della cassa integrazione straordinaria per crisi per dodici mesi per 445 lavoratori; mobilità volontaria e incentivata; Cigs a rotazione con modalità e tempistiche tali da garantire rientri certi; sostegno al reddito per i lavoratori sospesi in Cigs. Sono questi i capisaldi dell’ipotesi di accordo definita con il management aziendale di Nokia Siemens Networks, che a luglio aveva annunciato un piano di ristrutturazione con la previsione di 580 licenziamenti in Italia, dove il gruppo impiega 1.100 persone.
Ad annunciare l’accordo, che sarà firmato al ministero dello Sviluppo economico il 29 ottobre, i sindacati Fim, Fiom e Uilm, secondo cui si tratta di un passo importante per evitare futuri licenziamenti e riportare al lavoro chi era già stato estromesso.
“Con l’intesa raggiunta sono salvaguardati i lavoratori che saranno coinvolti nel processo di riorganizzazione, e vengono allontanati i rischi di disimpegno industriale di Nokia Siemens nel nostro Paese”, ha affermato il segretario Fim Cisl Milano Christian Gambarelli.
L’azienda, informano sempre i sindacati, si è impegnata a partecipare attivamente alla ricerca di nuovi investitori e ai progetti di rilancio industriale dell’area di Cassina de’ Pecchi, anche in consorzio con altri gruppi di imprese.
L’accordo,
In merito a un altro accordo, quello che ha visto scongiurata la cessione delle attività di rete di Wind e l’esternalizzazione di circa 1.700 dipendenti (Leggi articolo Key4biz), si è espressa anche Unindustria, secondo cui l’intesa definisce “un nuovo modello culturale improntato alla partecipazione attraverso la valorizzazione del know-how interno” e potrà altresì consentire all’azienda “di recuperare efficienza, qualità e di ridurre il costo del lavoro al fine di incrementare la produttività e la competitività aziendale mantenendo l’attuale assetto organizzativo fino al 2017”.
Le intese sindacali raggiunte con Wind, sottolinea una nota del Consiglio Direttivo “…sono la dimostrazione che un sistema di Relazioni Industriali può essere funzionale al rafforzamento del sistema produttivo e dell’occupazione, soprattutto in un momento di così forte crisi, dove l’elevato costo del lavoro per unità di prodotto incide negativamente sulla produttività e, quindi, determina una perdita sostanziale di competitività”.
“Gli accordi sindacali hanno fatto leva sul senso di solidarietà e di appartenenza dei lavoratori all’impresa”, aggiunge la nota.
Sul fronte dei lavoratori delle telecomunicazioni, tuttavia, resta aperto il capitolo call center: ieri, i lavoratori della sede romana di Almaviva Contact hanno infatti bocciato l’ipotesi di accordo formulata da impresa e sindacati e che prevedeva un anno di Cigs per riorganizzazione aziendale e un percorso di formazione e riqualificazione degli addetti.
Si riapre, dunque, per i 632 lavoratori del call center di via Lamaro, la prospettiva della cassa integrazione straordinaria a zero ore (senza stipendio), anticamera del licenziamento.
Solo nella capitale il gruppo Almaviva, che conta 16 mila dipendenti in Italia, occupa 4.900 persone, divise tra servizi informatici e call center. Questa attività impegna 2.600 operatori nelle tre sedi di via Lamaro, Scalo Prenestino e Casal Boccone.
A questo caso, a quello di 4You ed Energit, si aggiunge anche quello di Teleperformance, che ha annunciato il licenziamento di 785 dipendenti di cui 164 a Roma e 621 a Taranto.
Una vera e propria emergenza nazionale che travolge un settore altamente precarizzato e che rischia di aggravare ulteriormente la già difficilissima situazione dell’occupazione giovanile e femminile, principalmente al sud.
Tanto da spingere i sindacati a scrivere al ministro del Lavoro, Elsa Fornero, e al ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, per chiedere la convocazione urgente di un incontro al fine di individuare soluzioni in grado di impedire il degrado del settore e la moltiplicazione dei licenziamenti.
I soldi pubblici devono essere indirizzati “verso le aziende che fanno della stabilità occupazionale un punto di forza ricercando qualità e produttività” chiedono i Segretari Generali di SLC-CGIL, FISTel-CISL, UILCOM-UIL, Massimo Cestaro, Vito Vitale Bruno Di Cola, denunciando che “le crisi in corso non sono frutto del venir meno del lavoro, condizione che non semplifica la vita di chi lo perde ma almeno la rende comprensibile, ma delle Leggi vigenti che “drogano” il mercato attraverso incentivi che determinano la precarizzazione dei rapporti di lavoro”.
“Infatti – continua la lettera firmata dai – attraverso il ricorso agli sgravi previsti dalla Legge 407/90, ai FSE e a contributi regionali, sono creati sempre “nuovi” posti di lavoro a basso costo, oltre il 30% in meno, che mettono fuori mercato call center dove gli incentivi sono terminati”.
Una situazione paradossale, in cui si continuano a pagare “incentivi e casse integrazioni/indennità di mobilità senza creare neanche un nuovo posto di lavoro ma semplicemente spostando lo stesso su diversi territori”.
Il tutto a discapito dei più giovani, neolaureati e soprattutto donne, che – per non fare troppo i ‘choosy’, per dirla ‘alla Fornero – hanno accettato anche di lavorare a due euro all’ora e si ritrovano disoccupati, prosegue la lettera, “non perché il loro lavoro viene meno ma perché è spostato a un altro lavoratore che costa meno grazie agli incentivi dello Stato”.
A nulla è valsa la richiesta dei sindacati di inserire una ‘clausola sociale’, che vincola i committenti, in caso di cambio di appalto, a utilizzare il personale già impiegato su quelle attività. La norma – chiamata TUPE – è ampiamente usata in altri paesi Ue ma, denunciano le organizzazioni sindacali, è stata respinta perchè applicandola “verrebbe meno il ricorso agli incentivi che garantiscono un costo del lavoro inferiore a quello previsto dal contratto”.