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La sentenza n. 17438 con cui la Corte di Cassazione ha respinto un ricorso avanzato dall’Inail, è stata già definita ‘storica’, in quanto riconosce il nesso causale tra l’uso del cellulare e l’insorgenza di una grave patologia tumorale, il “neurinoma del Ganglio di Gasser“, un tumore che colpisce i nervi cranici, in particolare il nervo acustico e, più raramente, come nel caso di specie, il nervo cranico.
Il caso è quello di Innocente Marcolini, 60 anni, ex dirigente di una multinazionale che – per motivi lavorativi – per dodici anni e per 5-6 ore al giorno è stato costretto a far uso di telefoni cordless e cellulari all’orecchio sinistro. Nel 2002 al manager venne diagnosticato un tumore benigno al nervo trigemino sinistro che lo ha reso invalido all’80%.
Marcolini ha immediatamente associato l’insorgere della malattia all’uso prolungato del cellulare e dei cordless: tesi che ha trovato fondamento nei riferimenti scientifici dei professori Giuseppe Grasso, neurochirurgo di Brescia e il professor Angelo Gino Levis, oncologo e ordinario di Mutagenesi Ambientale all’Università di Padova.
Prove che hanno portato, nel 2009, la Corte di Appello di Brescia a condannare l’Inail a corrispondere al manager la rendita per malattia professionale prevista per l’invalidità all’80%. Sentenza confermata ora dalla Corte di Cassazione, che ha respinto il ricorso dell’Ente motivando la decisione con la spiegazione che “nel caso di malattia professionale non tabellata, come anche in quello di malattia ad eziologia multifattoriale, la prova della causa di lavoro, che grava sul lavoratore, deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità dell’origine professionale, questa può essere invece ravvisata in presenza di un rilevante grado di probabilità; a tale riguardo, il giudice deve non solo consentire all’assicurato di esperire i mezzi di prova ammissibili e ritualmente dedotti, ma deve altresì valutare le conclusioni probabilistiche del consulente tecnico in tema di nesso causale, facendo ricorso ad ogni iniziativa ex officio diretta ad acquisire ulteriori elementi in relazione all’entità ed all’esposizione del lavoratore ai fattori di rischio ed anche considerando che la natura professionale della malattia può essere desunta con elevato grado di probabilità dalla tipologia delle lavorazioni svolte, dalla natura dei macchinari presenti nell’ambiente di lavoro, dalla durata della prestazione lavorativa e dall’assenza di altri fattori extralavorativi, alternativi o concorrenti, che possano costituire causa della malattia”.
In sostanza, quindi, non è sufficiente che una determinata malattia non sia tabellata o non già riconosciuta dall’Inail: se la questa viene provata per causa di lavoro, l’Ente è tenuto al risarcimento.
Marcolini, che non ha più appoggiato un cellulare all’orecchio – continua ad usarlo ma con gli auricolari o viva voce – sottolinea che la sua battaglia non è stata dettata dalla voglia di rivalsa quanto dalla volontà di arrivare a un riconoscimento del nesso tra la malattia e l’uso di cellulari e cordless.
“Volevo che questo problema diventasse di dominio pubblico perché molte persone non sanno ancora il rischio che corrono parlando a lungo al cellulare senza utilizzare l’auricolare, oppure tenendolo infilato nella tasca dei pantaloni”, ha dichiarato al Corriere della Sera.
Negli ultimi anni, sono stati condotti diversi studi, ma nessuno è riuscito a stabilire con certezza un nesso tra l’esposizione ai campi elettromagnetici dei telefonini e l’insorgere di patologie gravi come il tumore.
Secondo l’Agency for Research on Cancer (IARC), l’Agenzia dell’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) che si occupa della ricerca sul cancro, tuttavia, sul lungo periodo questa esposizione provoca effetti sulla salute, aumentando, in particolare, il rischio di cancro. Il pericolo si pone soprattutto per i più giovani e i bambini, esposti per un periodo maggiore alle radiazioni lungo l’arco della loro vita.
Anche secondo uno studio condotto nel 2005 i bambini correrebbero più rischi degli adulti dall’esposizione prolungata alle onde radio dal momento che il loro sistema nervoso non è ancora perfettamente sviluppato, i tessuti cerebrali riescono ad assorbire maggiore energia ed essi saranno dunque più esposti degli adulti nel corso della loro intera vita, mentre secondo le valutazioni del del National Institutes of Health americano, parlare al telefonino accelera l’attività cerebrale nell’area più vicina all’antenna.
A fronte di queste risultanze, il Consiglio superiore di sanità (CSS) ha sottolineato la necessità di applicare, soprattutto per quanto riguarda i bambini, il principio di precauzione, che significa anche “l’educazione ad un utilizzo non indiscriminato, ma appropriato, quindi limitato alle situazioni di vera necessità, del telefono cellulare”.
A maggio dello scorso anno, anche il Consiglio d’Europa aveva espresso preoccupazione per l’eccessiva esposizione ai campi elettromagnetici dei telefonini e delle reti Wi-Fi, in particolare nelle scuole, chiedendo severe misure per ridurre i possibili pericoli per la salute. Sotto accusa, anche i dispositivi utilizzati per monitorare i neonati e tutti gli strumenti di uso comune che emettono continuamente onde elettromagnetiche.
Secondo il Consiglio d’Europa è necessario che i governi prendano “tutte le misure necessarie” per limitare l’esposizione ai campi elettromagnetici, specialmente alle frequenze radio dei cellulari, in particolare per i bambini e i giovani che sembrano i soggetti più a rischio di tumori cerebrali.