Europa
Continua la battaglia legale tra il Fisco francese e la sede d’oltralpe di Google. La Corte d’Appello di Parigi ha respinto il ricorso della società americana riguardante le modalità di ispezione e sequestro effettuate nella sede di Google France lo scorso anno (Leggi Articolo Key4biz).
La Corte ha, quindi, convalidato le misure attuate dagli agenti del fisco riguardanti l’indagine sulle presunte tasse non versate dalla web company.
Un problema su cui la politica francese, e da un po’ di tempo anche quella italiana e di altri Paesi europei, sta lavorando.
I fatti risalgono al 30 giugno 2011, quando la Direzione nazionale responsabile degli accertamenti tributari ha effettuato una perquisizione nella sede francese di Google, che ha portato al sequestro di numero eMail, fatture e contratti, per determinare l’importo delle imposte sulle società e l’IVA che il motore di ricerca non avrebbe pagato tra il 2008 e il 2010.
Il fisco sospetta, infatti, che Google France non abbia dichiarato alcuni proventi pubblicitari, imputandoli direttamente alla sua sede europea in Irlanda.
Nel 2011 Google France ha dichiarato un fatturato di 138 milioni di euro, ma il fisco presume che in realtà ammontino a oltre 1 miliardo.
Il gruppo ha sempre detto d’essere “in linea con tutte le leggi fiscali dei Paesi nei quali opera. Siamo convinti d’essere conformi anche alla legge francese“.
La compagnia ha contestato la procedura usata dalla Guardia di Finanza dell’esagono,che, grazie alle password fornite da alcuni dipendenti francesi, si sarebbero collegati ai server esteri dell’azienda, sequestrando diversi file.
Google ha opposto che si trattava di documenti che si trovavano fuori dal territorio francese e per questi sottratti alla competenze delle autorità nazionali.
Ma la Corte d’Appello ha respinto le sette argomentazioni avanzate da Google che chiedeva l’annullamento dell’operazione, ritenendo che gli agenti del fisco non abbiano violato la legge.
Se dopo gli accertamenti del fisco, il motore di ricerca dovesse essere condannato, si creerebbe un precedente importante che potrebbe avere ripercussioni per gli altri player americani che usano la stessa procedura di ottimizzazione fiscale come Apple, Facebook o Amazon.
Anche quest’ultima, del resto, è sottoposta a un controllo fiscale per gli anni che vanno dal 2007 al 2010.
Amazon France ha dichiarato un turnover di 21,7 milioni di euro nel 2010 contro i 26 miliardi di euro della casa-madre. In più, sul servizio di musica online, AmazonMP3, la società non paga IVA in Francia.
La situazione riguarda ovviamente tutti i Paesi, anche l’Italia, dove la Guardia di Finanza sta indagando dal 2006 su Google, e presto potrebbe chiudere il caso, per un ammanco di 80 milioni di euro di imposte non versate (Leggi Articolo Key4biz).
La Francia ha anche avviato un esame approfondito, per elaborare proposte con l’obiettivo di ridurre il gap competitivo che penalizza le aziende d’oltralpe.
Il lavoro è stato affidato a una squadra di esperti che presenteranno le proprie osservazioni sui provvedimenti da adottare per trovare nuove risorse e rilanciare la digital economy.
Gli OTT americani – Google, Apple, Facebook e Amazon – sono ovviamente nel mirino del governo. iI ‘giganti del web’, che svolgono la loro attività sul territorio nazionale, avvantaggiandosi delle infrastrutture locali, senza contribuire al fisco.
Ma la Francia ha anche fatto di più. Ha deciso di coinvolgere Italia, Spagna e Germania in questa operazione.
I tre Paesi potrebbero allearsi con l’obiettivo di inserire la fiscalità sulle web company nell’Agenda europea e spingere Bruxelles a trovare una soluzione condivisa.
La presenza delle grosse company mondiali danneggia in particolar modo i piccoli operatori.
Interessante quanto segnalato a Key4biz di un piccolo imprenditore attivo sul mercato dell’home-video.
Si tratta dell’ingegnere Marco Lupo della società Dream Entertainment che fornisce servizi di eCommerce di materiale audiovisivo, che ha lamentato lo stato in cui si trovano a lavorare i piccoli imprenditori, schiacciati da una concorrenza sempre più spietata da parte delle grandi società americane.
Lupo è arrivato a scrivere anche al premier Mario Monti, facendo riferimento ad Amazon, ormai l’incubo dei piccoli retailer.
“Amazon.it – scriveva Lupo a Monti – ha una sede operativa in Italia (un polo logistico di 25.000 mq vicino Piacenza), una partiva iva italiana, ma la sede è in Lussemburgo. Acquistano i prodotti in Italia dalle aziende italiane e rivendono gli stessi ai clienti italiani; il risultato è che noi piccoli operatori del settore ci troviamo a dover affrontare un colosso da 30 miliardi di fatturato annuo a livello mondiale che, in virtù della propria sede legale, paga oneri tributari pari alla metà dei nostri”.
Legittime le domande che Lupo pone a Monti: “Come possiamo competere ad armi pari? Dobbiamo tutti trasferirci in Lussemburgo oppure restare qui, continuando a credere nel nostro Paese, mentre lentamente e inesorabilmente veniamo sfiancati da una concorrenza sleale?”.
OTT, tasse e paradisi fiscali. Questi i tre punti cardine sui quali lavorare. La situazione richiede misure di intervento urgenti anche alla luce dell’approvazione dell’Agenda digitale, giusto ieri in Consiglio dei Ministri.